lunedì 16 novembre 2020

Marta Tibaldi, Quando i pazienti si innamorano dell'analista. Transfert erotico e coniunctio oppositorum

Marta Tibaldi

Quando i pazienti si innamorano dell'analista.

Transfert erotico e coniunctio oppositorum


I vissuti transferali, ovvero le proiezioni di contenuti inconsci da parte del/della paziente sulla figura dell’analista, sono un fenomeno che si costella in modo costante nel corso di un’analisi del profondo e rappresenta per paziente un’esperienza ad altissima potenzialità trasformativa. Il transfert erotico, in particolare, se riconosciuto e restituito per ciò che significa archetipicamente – “l’unione di forma e materia”, ovvero la forma psichica della materia che si rivivifica - offre al paziente un’esperienza di coniunctio oppositorum che rimanda alla creazione del Sé, lungo il processo d’individuazione:

 

“[…] Jung considera l’opus alchemico metafora del processo d’individuazione, di quel dinamismo vitale che è presente in ogni essere umano e che tende al suo più completo e compiuto sviluppo psicofisico. Da questa prospettiva, la metafora alchemica ha rappresentato per Jung “un servizio inestimabile”, perché lo ha aiutato a comprendere e a descrivere in primis il suo stesso processo d’individuazione, offrendogli la possibilità di illustrarlo nei suoi aspetti essenziali.[1]  Nel corso dell’esistenza, il processo d’individuazione e le relative esperienze di “compimento”  [la rubedo alchemica] possono prendere forme diverse: intrapsichiche, interpersonali, culturali, sociali o globali […] Nella stanza d’analisi il processo d’individuazione si manifesta inoltre, in modo del tutto caratteristico, attraverso le dinamiche di transfert, ovvero la proiezione da parte del paziente di contenuti inconsci sull’analista: 

 

Dall’analisi pratica è risultato che i contenuti inconsci appaiono sempre ‘proiettati’ a tutta prima su persone e situazioni oggettive. Molte proiezioni vengono definitivamente integrate all’individuo attraverso il riconoscimento della loro appartenenza oggettiva; altre invece non si lasciano integrare e, distaccandosi dai loro oggetti originari, si trasferiscono poi sul terapeuta.[2]

 

Nel caso del cosiddetto “transfert erotico” in particolare, ovvero quando il paziente o la paziente si innamorano dell’analista, si tratta di movimenti psichici che mettono in scena, sotto forma dell’attrazione del maschile e del femminile proiettati sulla coppia analitica, la tensione individuativa verso l’unione degli opposti e la conseguente generatività simbolica (il filius alchemico). Clinicamente l’attivarsi di un transfert erotico o sessuale rappresenta uno snodo psichico di grande potenzialità trasformativa, che richiede di essere compreso simbolicamente e mai agìto nella realtà, pena il collasso dello spazio analitico e della stessa possibilità di trasformazione psichica e di “compimento” da parte del paziente. L’immagine alchemica che rappresenta questo desiderio di “compimento” è la coniunctio (unione): “un’immagine […] che occupa da sempre una posizione eminente nell’evoluzione spirituale dell’uomo”[3], simbolo per eccellenza dell’unione di sostanze dissimili, la cui tensione contiene in sé la spinta trasformativa verso l’integrazione psichica e il relativo “compimento”. In analisi è fondamentale riconoscere la valenza simbolica degli innamoramenti transferali, de-letteralizzandoli: una loro eventuale messa in atto non porta affatto all’esperienza della coniunctio quanto piuttosto alla perdita di questa possibilità interna. In analisi il sentimento d’amore è la forma psichica della materia che si rivivifica (rubedoe come tale deve essere compreso e integrato alla coscienza: esso rappresenta la possibilità di fare propria l’esperienza del “compimento”, realizzando il potenziale psicofisico di totalità, simbolizzato da quella proiezione transferale: 

 

L’immagine della coniunctio emerge sempre in un momento cruciale dell’evoluzione spirituale dell’uomo. […] L’inconscio attivato appare come un miscuglio di contrari scatenati, ed esige che si tenti di riconciliarli cosicché ne emerga, come gli alchimisti dicono, il grande rimedio universale, la medicina catholica. […] L’elaborazione della prima materia, del contenuto inconscio, esige infinita pazienza, perseveranza, equanimità, sapere e capacità da parte del terapeuta; ma dal paziente esige l’applicazione delle sue forze migliori[4] e una capacità di sofferenza che non risparmia neanche colui che lo cura.”[5]

 

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[1] C.G. Jung, Jung parla. Interviste e incontri (a c. di R.F.C. Hull), Adelphi, Milano 1995, pp. 294-296.

[2] C.G. Jung (1946), “La psicologia dellla traslazione illustrata con l’ausilio di una serie di immagini alchemiche”, OC16, Pratica della psicoterapia, Boringhieri, Torino 1981, p. 182.

[3] Ivi, p. 181.

[4] Ivi.

[5] Cfr. M. Tibaldi, “L’opera al rosso. Il “compimento”. Stati di rubedo nell’esperienza analitica”, in S. Massa Ope, A. Rossi, M. Tibaldi (a cura di), Jung e la metafora viva dell’alchimiaImmagini della trasformazione psichica, Moretti e Vitali, Bergamo 2020, pp. 187-189.

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