sabato 14 novembre 2020

Marta Tibaldi, Bagnomaria

 Marta Tibaldi

Bagnomaria

Non tutti sanno che il procedimento per cuocere le vivande a “bagnomaria” prende il nome dall’antica pratica alchemica del “bagno di Maria”, un’operazione caratteristica dell’alchimia ellenistica, usata per secoli dagli aspiranti alchimisti per trasformare la prima materia nell’oro filosofico[1]. In ambito culinario il “bagnomaria” è una forma di cottura indiretta – il recipiente con il cibo è messo in un altro recipiente a sua volta immerso in un liquido scaldato dal fuoco - che, non esponendo i cibi al contatto diretto con la fiamma, permette di dosare il calore  in modo lento e accurato. 


 

Il termine “bagnomaria” deriva da “bagno in acqua” e da “Miriam”, il nome della sorella di Aronne e di Mosè, che ebbe fama di essere una grande alchimista; si potrebbe però trattare anche dell'alchimista “Maria la Giudea”, vissuta ad Alessandria d’Egitto tra il I e il III secolo dopo Cristo. La cottura a bagnomaria richiede attenzione, tempo e cura e in questo senso ripropone alcune modalità caratteristiche dell’opus alchemico, che realizzava il "compimento" (rubedo)[4], la creazione del Lapis, attraverso numerose distillazioni e calcinazioni  (solve et coagula). Nella cucina di oggi, come nel laboratorio alchemico del passato, la cottura a “bagnomaria” rimanda ai processi di trasformazione delle sostanze e al loro passaggio dal crudo al cotto. Claude Levi-Strauss in un suo famosissimo scritto sostiene che questa transizione rappresenta uno degli elementi fondativi delle culture umane e della civiltà[2] . All'origine del processo di trasformazione antropologico e alchemico il fuoco segna infatti il passaggio dell’umanità dallo stato di natura a quello di cultura e avvia il processo dell'opera, perché “Nello stesso momento in cui gli uomini cominciano a produrre il fuoco, il fuoco comincia a produrre gli uomini.”[3]


 

Ancora oggi il procedimento del “bagnomaria” contiene, seppure in modo inconsapevole per molti di noi, la memoria delle trasformazioni alchemiche dei metalli vili in oro, rimettendoci nel solco dell'alchimia pratica e delle sue trasmutazioni.  

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[1] Cfr. J. Raff, Jung e l’immaginario alchemico, Edizioni Mediterranee, Roma 2008.

[2] C. Lévi-Strauss, Il crudo e il cotto, Il Saggiatore, Milano 2016

[3] M. Niola, “Cultura uguale cucina. La legge di Lévi-Strauss”, La Repubblica – 31 luglio 2016

[4] Cfr. M. Tibaldi, “La rubedo. Stati di compimento nell’esperienza analitica”, in S. Massa Ope, A. Rossi, M. Tibaldi (a c. di), Jung e la metafora viva dell’alchimia. Immagini della trasformazione psichica, Moretti e Vitali, Bergamo 2020. 


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