martedì 29 dicembre 2020

Marta Tibaldi, Emozioni a colori

Marta Tibaldi

Emozioni a colori

Non c’è dubbio che esista un legame tra le emozioni e i colori. A livello individuale ognuno di noi almeno una volta ha certamente fatto l’esperienza di preferire un colore a un altro, a seconda dello stato d’animo.  In termini culturali espressioni idiomatiche come, ad esempio, “essere di umore nero”, “diventare verde di invidia”, “arrossire per l’imbarazzo” etc. veicolano a loro volta emozioni il cui significato è compreso e condiviso a livello collettivo. 

 

Un modo per diventare consapevoli dei colori delle emozioni è sviluppare un atteggiamento riflessivo, ovvero rivolgere l’attenzione verso noi stessi e ciò che proviamo nel momento in cui ci rendiamo oggetto della nostra attenzione. Lo possiamo fare anche in questo momento: quale è il colore che qui e ora esprime al meglio il mio stato d’animo? Quale espressione idiomatica potrebbe raffigurare al meglio le emozioni che sto provando adesso?

 

Da sempre nella storia del pensiero e delle culture i colori hanno rappresentato in forma simbolica esperienze interne ed esterne. In campo psicologico-analitico Jung ipotizza, ad esempio, che la scelta dei colori sia legata alla tipologia psicologica e alla nostra funzione psichica prevalente[1]; quindi anche al nostro modo di conoscere e di rappresentarci il mondo. Ma vale sottolineare che i colori delle emozioni e le espressioni idiomatiche non danno forma soltanto ai vissuti dell’Io e alla dimensione inconscia personale, essi veicolano anche livelli psichici più ampi e profondi che riguardano il Sé e i processi d’individuazione, il ‘compimento’ dell’anima individuale e dell’Anima mundi[2]. Si legga, a questo proposito, il sogno di una paziente di cultura cinese, che dà visibilità immaginale al processo di trasformazione profonda in atto nella sua psiche e di cui la paziente è ignara a livello cosciente; movimenti inconsci che svelano una dinamica finalistica grazie al rimando alchemico:

 

“Mi trovo con alcune persone in una casa funeraria, dove si conservano le ceneri dei defunti. Un amico di famiglia è morto e le sue ceneri sono state collocate in questo spazio. Sono con altre persone e ci interroghiamo su chi debba rimanere a vegliare le ceneri del defunto. Si decide che tocca a me [si noti che ci troviamo qui in presenza di un confronto con la morte, caratteristico dello stato alchemico della nigredo]. Mi sento responsabile del compito che mi è stato affidato ma provo anche un po’ di paura, perché rimarrò da sola nella casa funeraria. Anche se non so bene come farò, accetto il compito che mi è stato affidato e penso: “Anche se dovesse essere un’esperienza orribile, troverò il modo di fare fronte” [la paziente è consapevole di dovere passare attraverso l’esperienza del nero per potere accedere a un nuovo livello di consapevolezza, rappresentato alchemicamente dall’immagine dell’albedo]. La scena cambia: sto camminando per strada, incontro una collega, che con sguardo di sorpresa mi dice: “Il tuo vestito nero è diventato rosso [il colore rosso rassicura sul buon andamento del processo in atto e sulla tendenza verso il ‘compimento’ rubedo]”. Mi guardo, e mi accorgo con sorpresa di essere vestita di rosso dalla testa ai piedi. Sebbene nella realtà indossi raramente questo colore, nel sogno so che voglio essere vestita proprio di rosso.”[3]

 

La consapevolezza del legame simbolico dei colori con le emozioni dell’Io e le trasmutazioni del Sé rende comprensibile ciò che la lettura a livello egoico non può spiegare: nel tempo attuale la comprensione transpersonale dell’esperienza pandemica ne è un lampante esempio.


Copyright 2020



[1] Si tratta della distinzione tra tipi introversi e tipi estroversi e le funzioni del pensiero, sentimento, sensazione e intuizione (cfr. C.G. Jung (1921), Tipi psicologici, OC6, Boringhieri, Torino 1969) 

[2] Il Sé rappresenta la matrice archetipica della personalità, il suo massimo potenziale e la meta finale del processo d’individuazione, in quel movimento circolare e a spirale che il simbolo dell’Uroboro ben rappresenta. Nella teorizzazione junghiana l’Anima mundi è lo “spirito di vita” che anima il mondo, la vitalità della natura.

[3] M. Tibaldi, “L’opera al rosso. Il ‘compimento’. Stati di rubedo nell’esperienza analitica”, in S. Massa Ope, A. Rossi, M. Tibaldi (a cura di), Jung e la metafora viva dell’alchimia. Immagini della trasformazione psichica, Moretti & Vitali, Bergamo 2020, p. 197.

mercoledì 23 dicembre 2020

Marta Tibaldi, Tutti i colori del bianco. Cauda pavonis e albedo


Marta Tibaldi

Tutti i colori del bianco. 

Cauda Pavonis e albedo


Nell'immaginario alchemico l'immagine della cauda pavonis (coda del pavone) unisce in sé tutti i colori dell’arcobaleno e per questo dà forma simbolica a un’esperienza di totalità. Nel processo alchemico i molti colori della coda del pavone indicano il passaggio dalla fase della prima materia oscura e del caos degli elementi – in termini psichici i vissuti di depressione e di mancanza di orizzonte che ci fanno vedere tutto “nero” - a quella del bianco, l’albedo, il colore che rappresenta l’uscita dall’oscurità psichica, la presa di coscienza della dimensione ‘colorata’ e inconscia della mente.  Nel processo alchemico l’albedo è la prima meta del processo di trasmutazione delle sostanze e simbolicamente si muove in parallelo con il passaggio dall’inconscietà alla consapevolezza nel processo d’individuazione. L’esperienza alchemica e individuativa trasmutano quindi nella rubedo, lo stato “solare” (rosso), nel quale lo “spirito di vita” riscalda la prima materia, ormai illuminata dalla consapevolezza cosciente, infondendole nuova vita:

 

“La nerezza, la nigredo è lo stato iniziale [del processo alchemico]: [esso è] o preesistente come qualità della prima materia, del caos o della massa confusa, oppure provocato dalla decomposizione (solutio, separatio, divisio, putrefactio) degli elementi. Se, come talvolta accadeva, si partiva dallo stato di decomposizione, poi si procedeva a un’unione degli opposti sul modello dell’unione di maschile e femminile (il cosiddetto coniugium, matrimonium, coniuntio, coitus) seguito dalla morte del prodotto dell’unione (mortificatio, calcinatio, putrefactio) e corrispondente innerimento. Dalla nigredo si poteva passare mediante lavaggio (ablutio, baptisma) o direttamente all’imbianchimento, oppure l’anima fuggita dal corpo al momento della morte era unita nuovamente al corpo morto per vivificarlo, oppure ancora i molti colori (omnes colores, cauda pavonis) servivano di passaggio a un colore unico, il bianco, contenente tutti i colori. Con ciò era raggiunta la prima meta principale del processo, ossia l’albedo, tinctura alba, terra alba foliata, lapis albus ecc., meta che certi autori decantavano in modo tale quasi si trattasse della meta definitiva. Era lo stato argenteo o lunare, che però doveva essere ancora innalzato allo stato solare. L’albedo è, in certo qual modo, l’alba; ma soltanto la rubedo è il sorgere del sole. Il passaggio alla rubedo è costituito dall’ingiallimento (citrinitas), il quale […] venne più avanti soppresso[1]. Aumentando l’intensità del fuoco fino al suo grado massimo, la rubedo sorge direttamente dall’albedo. Il bianco e il rosso denotano la Regina e il Re, che anche in questa fase possono celebrare le loro nuptieae chymicae(C.G. Jung, Psicologia e alchimia, OC12, Boringhieri, Torino 1992, pp. 229-230).



[1] Nel quindicesimo-sedicesimo secolo i quattro colori del processo alchemico - melanosi (innerimento), leucosi (imbiancamento), xanthosi (ingiallimento) e iosi (irrossimento), sono ridotti a tre. La la xanthosi, detta anche cinitritas cadde infatti in disuso. In alcuni testi si fa riferimento a volte anche alla viriditas, il colore verde, ma nel corso del tempo le fasi del processo alchemico si assestarono definitivamente intorno ai tre colori del nero, del bianco e del rosso.


Copyright 2020

lunedì 21 dicembre 2020

Marta Tibaldi, Depressione: indietreggiare per saltare meglio

Marta Tibaldi

Depressione: indietreggiare per saltare meglio



    Jung usa l’espressione “reculer pour mieux sauter” (indietreggiare per saltare meglio) per descrivere la stagnazione dell’energia psichica che caratterizza l’esperienza della depressione. A differenza del movimento progressivo della libido, che comporta “l’avanzamento quotidiano del processo psicologico di adattamento”[1], nella stagnazione psichica la persona depressa sperimenta una perdita di energia. Essa è causata da una regressione libidica che con il suo movimento retrogrado va a costellare contenuti inconsci precedentemente rimossi o mai giunti alla coscienza. La depressione, scrive Jung: “[…] aumenta il valore dei contenuti che prima erano esclusi dal processo cosciente di adattamento, [i quali] sono di norma ‘oscuramente consci’, o del tutto inconsci". 


    Sebbene a una valutazione superficiale l’esperienza della depressione possa apparire soltanto negativa, perché fa affiorare alla coscienza “il fango e la sozzura” dei contenuti e delle emozioni che si agitano oscuramente sul fondo della personalità, in realtà “[…] in questi materiali è possibile individuare non solo residui incompatibili e quindi respinti dell’esistenza quotidiana, o tendenze primordiali, incomode e riprovevoli dell’uomo animalesco, ma anche germi di nuove possibilità di vita. […] E’ [infatti] uno dei grandi valori della psicoanalisi portare alla luce senza vergogna i contenuti incompatibili, cosa che rappresenterebbe un avvio perfettamente inutile, e anzi da respingere, se proprio nei contenuti rimossi non vi fossero le possibilità di un rinnovamento dell’esistenza.[2]

Senza volere negare i pericoli della depressione, soprattutto quando è prolungata e non compresa nella sua richiesta trasformativa, Jung invita a considerarla un’esperienza di nigredo che chiede alla persona depressa un ampliamento della coscienza (albedo) verso il riequilibrio e la rigenerazione della personalità totale (rubedo). 


Guardare alla depressione come a una prima materia da trasmutare, significa imparare ad accogliere anche i momenti oscuri dell’esistenza, integrandone il potenziale trasformativo. (Il quadro è Sulla soglia dell’eternità è di Vincent van Gogh)

Copyright 2020

[1] “I concetti fondamentali della teoria della libido”, OC8, La dinamica dell’inconscio, Boringhieri, Torino 1976, p. 41.

[2] Ivi, pp. 43-44.

sabato 5 dicembre 2020

Marta Tibaldi, Immagine tra le immagini

Marta Tibaldi

Immagine tra le immagini



Al pari della circumambulatio alchemica, che ruota intorno alle trasmutazioni della prima materia, si dirige verso la costruzione della "Pietra" e racconta questo percorso con immagini simboliche, anche il processo d’individuazione descritto da Carl Gustav Jung si snoda a spirale dall’iniziale stato psichico di confusione e di oscurità (nigredo), alle prese di coscienza che generano nuova consapevolezza (albedo), fino all’integrazione di materia e spirito (rubedo). James Hillman invita a guardare in termini simbolici non soltanto questi processi ma anche noi stessi, rendendo rendendoci “immagini tra le immagini”:


“Sviluppare un approccio psicologico immaginale, guardare in trasparenza, vuole dire avere un atteggiamento che riconosca la natura immaginale della mente e vi entri in relazione dinamica. Significa essere consapevoli che la nostra mente rappresenta se stessa sotto forma di immagine e metaforicamente si racconta. Questa attività immaginativa è mia, in quanto avviene in me e io la riconosco come tale, ma è anche non-mia, perché autonoma rispetto alla mia soggettività. E’ questa la prospettiva impersonale cui fa riferimento Hillman e su cui egli ha concentrato la propria attenzione. Il che non significa, ovviamente, che la dimensione soggettiva e personale sparisca o non esista più: semplicemente, l’attenzione della psicologia archetipica si rivolge maggiormente agli aspetti psichici impersonali, e di questi argomenta.

 

Vorrei definire con un’immagine la posizione della psicologia archetipica rispetto a quella della psicologia del profondo in generale: una barca a vela che naviga di bolina. Sappiamo che quando andiamo a vela con quest’andatura e il vento soffia forte di lato inclinando la barca, a un certo punto è necessario sporgersi dall’altra parte, per evitare di scuffiare. Bisogna cioè sbilanciarsi fortemente nella direzione opposta rispetto a quella dove si era, per evitare che la barca si rovesci.

Si potrebbe dire che il vento dell’analisi del profondo ha soffiato per molto tempo in direzione della soggettività conscia e inconscia, lato sul quale gli analisti del profondo si erano assestati e da cui veleggiavano. Con il passare del tempo, questa posizione è arrivata al punto limite dello sbilanciamento, esponendo al rischio di finire in acqua, a meno di non spostarsi velocemente sul lato opposto.

 

Hillman è andato dall’altra parte, si è spostato dal lato del personale e soggettivo a quello dell’impersonale e oggettivo, e ha veleggiato formulando le sue teorie da questo diverso vertice di osservazione. Ma non bisogna dimenticare che Hillman è stato colui che ha invitato a guardare in trasparenza anche i paradigmi teorici[1], affermando che la psicologia archetipica rappresenta un momento dinamico del viaggio psicoanalitico e, in quanto tale, il suo assetto richiederà nel tempo cambiamenti e assestamenti. Al pari di ogni manifestazione psichica, anche la psicologia archetipica è una narrazione metaforica e dinamica di una verità più profonda e comune al genere umano: il nostro essere materia che produce immagini.


[…] Alla psicologia archetipica [e alchemica] non basta la presa di coscienza delle dimensioni oggettive e impersonali della psiche, ma interessa anche lo svuotamento dell’Io, la percezione che noi stessi siamo immagini e così ci possiamo raccontare. La nostra identità egoica, la nostra esistenza – e, in ultima analisi, la nostra stessa morte, come Hillman ha testimoniato in prima persona -, se considerate dal punto di vista dell’attività mitopoietica della mente, sono anch’esse immagini in movimento, espressioni metaforiche di quella creatività psichica naturale che si esprime, appunto, attraverso un flusso ininterrotto di immagini. Nel momento in cui riusciamo a percepire la nostra identità soggettiva come un’immagine tra le immagini, scopriamo che - come dice Prospero nel famoso monologo de La Tempesta di Shakespeare – siamo davvero fatti “della stessa materia dei sogni e la nostra breve vita è circondata dal sonno.”[2]


Copyright 2020

[1] J. Hillman, Il codice dell’anima. Carattere, vocazione, destino, Adelphi, Milano 1997.

[2] Cfr. M. Tibaldi, “La pratica delle immagini”, in James Hillman. Verso il sapere dell’anima (a c. di F. Donfrancesco), Anima 2012, Moretti & Vitali, Bergamo, pp. 348-350.

mercoledì 25 novembre 2020

Marta Tibaldi, La conversione della mente

Marta Tibaldi

La conversione della mente

Nella giornata contro la violenza sulle donne (e sul femminile psichico) vorrei ripotare alcune considerazioni di Annarosa Buttarelli, che in Sovrane. L’autorità femminile al governo (Il Saggiatore, Milano 2017) teorizza la necessità di una “conversione trasformatrice della mente [degli uomini e delle donne]”: 

“L’eterna istanza del femminismo […] non riguarda più solo la vigilanza sui diritti, non riguarda l’uguaglianza di trattamento economico, anche se non la esclude, ma riguarda il conflitto tra forme della mentetra ordini simbolici. Non riguarda più lo scontro tra uomini e donne, che pure esiste ancora, ma poiché le coordinate di questo conflitto ci sono ben chiare, il livello da un po' di tempo è un altro: è il conflitto tra le forme della mente, tra gli ordini simbolici che si stanno contendendo il mondo tra loro.” (ivi, pp. 15-16). 

Con le dovute differenze, la riflessione di Buttarelli va in parallelo con quanto si chiede Riane Eisler in Il calice e la spada. La presenza dell’elemento femminile nella storia da Maddalena a oggi (Frassinelli, 2006): “E’ realisticamente possibile il passaggio da un sistema di guerre incessanti, di ingiustizia sociale e di squilibrio ecologico a un sistema che porti alla pace, alla giustizia sociale e all’equilibrio ecologico? E soprattutto, quali cambiamenti della struttura sociale renderanno possibile questa trasformazione?” (ivi, p. 3). Nel descrivere due modelli organizzativi, “quello androcratico, violento e autoritario (simboleggiato dalla spada), e quello ginocentrico, fondato sulla collaborazione e la parità tra i sessi (simboleggiato dal calice), Eisler individua nella “gilania” “una forma di pensiero completamente altra rispetto a quella del pensiero patriarcale, che è caratterizata dal predominio del sesso maschile della subordinazione di quello femminile” (p. X).

Nel 2013 il medico, scrittore e fotografo argentino Ricardo Coer si spinge in Cina, fino alla provincia dello Yunnan, lungo le sponde del lago Lugu, per documentare la cultura della minoranza etnica matrilineare dei Mosuo e il loro modo di intendere il matrimonio (Il regno delle donne, Nottetempo, Roma 2013).
Si tratta di una forma di matrimonio (axia) che Coer definisce "ambulante" e che somiglia ben poco a quello occidentale: “Ognuno vive a casa propria, e di notte l’uomo va a trovare nella sua camera la donna con cui ha fissato un appuntamento. La parola xia significa “amanti”, e il prefisso a sta a indicare intimità” (p. 29). Questo tipo di relazioni tra donne e uomini Mosuo non comporta alcun vincolo: “La visita dura quanto la notte e non implica che ci si debba vedere di nuovo. […] Sia gli abitanti di altri villaggi, sia i forestieri possono avere un axia con le donne Mosuo, che però non esitano a lasciare fuori dalla porta chi si mostri poco gentile o si esprima in termini scurrili.” (pp. 29-30).

Le famiglie Mosuo ruotano esclusivamente intorno alle madri e alle nonne e non contemplano “l’idea dell’uomo o della donna ideali, la fantasia che tra i rappresentanti dell’altro sesso ci sia qualcuno che è la nostra esatta metà, e che ci voglia un po’ di buona volontà per incontrarlo”. Questa è una caratteristica della cultura occidentale e, aggiunge Coer, “un’incomparabile materia prima per la fabbrica dell’insoddisfazione. […] Le Mosuo professano la saggezza di quel che non c’è, di ciò che non si può avere, una saggezza che le preserva da quelle illusioni che, restando disattese, le lascerebbero deluse, con il rischio di trasformare in costanti passeggere del treno della lagnanza. E’ come se non sperassero di trovare, in un uomo, niente di diverso da ciò che trovano” (pp. 174-175).

Leggendo le parole di Coer non si può fare a meno di riflettere sulla differenza che intercorre tra il “matrimonio ambulante” delle donne Mosuo, quello religioso occidentale, con le sue caratteristiche di fedeltà e di indissolubilità e il "matrimonio individuativo" di cui parla Adolf Guggenbuehl-Craig in Matrimonio. Vivi o morti ( Moretti & Vitali, Bergamo 2000):  “Il matrimonio [è] un itinerario di sviluppo e di trasformazione dell’intera personalità, [...] perché obbliga uomo e donna al confronto con gli aspetti più oscuri, sgradevoli e difficili dell’incontro e dell’amore, e con i molteplici aspetti “normali” e “anormali” della sessualità”.  

Il “matrimonio ambulante” delle donne Mosuo, il matrimonio cattolico, il "matrimonio individuativo" sono tre realtà psicologiche e antropologico-culturali diversissime tra loro. In occasione della giornata contro la violenza sulle donne possono essere uno stimolo di riflessione verso la "conversione trasformatrice della mente".

Copyright 2020

 

martedì 24 novembre 2020

Marta Tibaldi
La speranza oltre la morte. Iside e la rinascita
In questo post mi voglio ricollegare allo spunto offerto da Valeria Bianchi Mian in Psicologia alchemica (@psicologialchemica) sul tema di Iside e Osiride per riproporre parte di un mio lontano scritto, nel quale descrivevo come fosse stato possibile trasformare, grazie a un’immaginazione attiva[1], l’incontro immaginale con un Eros maschile distruttivo, che aveva preso la forma di uno "stupro dell'anima".
In quell’esperienza emerse spontaneamente l’immagine della dea Iside, che, in termini alchemici oggi come allora, testimonia il potere generativo della coniunctio delle polarità maschile/femminile nell’opus individuativo di ciascuno di noi:

“[…] Seguendo le immagini che giungono dalla psiche profonda – una prima materia che ha preso dapprima la forma di una gelatina verde per trasformarsi poi in un magnifico smeraldo – mi sono trovata in Egitto, davanti al “dio verde” Osiride e la sua sposa Iside. Come è noto, in Egitto il mito di Osiride è anche quello di Iside, la dea che rappresenta la fiducia femminile nel potere rivivificante dell’amore, oltre l’esperienza della morte.
Iside, dopo avere sofferto in tutta la sua drammaticità l’incontro con il principio maschile negativo incarnato dalla figura di Seth, trasforma la morte dello sposo Osiride in rinascita: la dea ricompone gli arti smembrati del marito, ne ricostruisce il fallo disperso e genera il figlio Horus, la nuova progenie, immagine del mondo materiale rinnovato.
Nel mito Osiride, “il dio stanco”, rappresenta una modalità maschile ormai priva di vitalità, che rinasce grazie all’impegno di Iside. L’amore e la perseveranza della dea rivivificano il dio con coraggio, sacrificio e devozione, andando oltre la morte. L’ indomabile fiducia di Iside nel potere dell’amore e della vitalità profonda rende così possibile la rinascita del principio maschile e il concepimento di Horus, il filius alchemico che rappresenta il superamento creativo della morte e dunque la rinascita (rubedo).”[2]
[1] Cfr. M. Tibaldi, “Raping the Soul. An Experience of Active Imagination”, in Florence 98. Destruction and Creation. Personal and Cultural Transformation. Proceedings of the Fourteenth International Congress for Analytical Psychology (ed. By M.A. Mattoon), Daimon Verlag, Einsiedeln, Switzerland 1999, pp. 208-219.
[2] Ivi.
Copyright 2020

sabato 21 novembre 2020

Gruppo di parola per psicoterapeuti "Adesso è più difficile"

 

GRUPPO DI PAROLA GRATUITO

PER PSICOTERAPEUTI

Scambio e supporto tra pari in tempi di crisi

Il sabato, una volta al mese, dalle 11:00 alle 12:30

(Previa prenotazione)

 

“Adesso è più difficile”

 

Dott. MARTA TIBALDI

Psicologa-Psicoterapeuta

Psicologa analista (AIPA-IAAP)

 


Nel marzo 2020, durante il primo lockdown da Covid-19, ho realizzato il video Volevo fare il paziente – gruppo di parola per psicoterapeuti per presentare il gruppo omonimo su Facebook. Il titolo riprendeva alcune parole che Stefano, il protagonista del film Transfert di Massimiliano Russo (2017), diceva al termine della sua breve carriera di psicoterapeuta. Coinvolto in una situazione professionale difficile, aveva avuto un crollo emotivo, ma la sua crisi gli aveva permesso di dare voce a un bisogno infantile mai espresso: avrebbe voluto fare il paziente piuttosto che lo psicoterapeuta.

 

Come sappiamo, nella stanza d’analisi il paziente e lo psicoterapeuta incarnano due facce della stessa realtà, anche se declinate in modo diverso. L’immagine del “guaritore ferito” illustra simbolicamente questa situazione bifronte e ricorda l’importanza dell’analisi personale (“fare il paziente”) nella formazione del futuro psicoterapeuta. Nel 2020 la pandemia da Covid-19 ha immesso nei setting psicoterapeutici - che sono passati, tra l’altro, dalla modalità in presenza a quella online - vissuti di stress traumatico acuto e cronico che hanno coinvolto pazienti e psicoterapeuti (pandemic fatigue).

Se al tempo del Covid-19 ai pazienti sono stati offerti molte possibilità di ascolto, gli psicoterapeuti hanno invece continuato a svolgere il proprio lavoro contando soprattutto su risorse individuali e su reti personali di supporto. Volevo fare il paziente – gruppo di parola per psicoterapeuti - “Adesso è più difficile” vuole essere una risposta all’esigenza di condivisione, di supporto e di scambio anche degli psicoterapeuti in un tempo e per un tempo eccezionale come quello della pandemia e dell’isolamento.

 

Volevo fare il paziente – gruppo di parola per psicoterapeuti  - “Adesso è più difficile” è un gruppo di scambio tra pari che si svolge in modalità online di sabato, una volta al mese, dalle 11 alle 12:30 con un massimo di otto e un minimo di cinque persone. La partecipazione è gratuita ed è riservata agli psicoterapeuti abilitati.

 

Per le prenotazioni si prega di inviare una mail a:

info@martatibaldi.com

indicando nome, cognome e indirizzo mail, la scuola di specializzazione e l’iscrizione all’albo degli psicoterapeuti.


***

 

 Copyright 2020


lunedì 16 novembre 2020

Marta Tibaldi, Quando i pazienti si innamorano dell'analista. Transfert erotico e coniunctio oppositorum

Marta Tibaldi

Quando i pazienti si innamorano dell'analista.

Transfert erotico e coniunctio oppositorum


I vissuti transferali, ovvero le proiezioni di contenuti inconsci da parte del/della paziente sulla figura dell’analista, sono un fenomeno che si costella in modo costante nel corso di un’analisi del profondo e rappresenta per paziente un’esperienza ad altissima potenzialità trasformativa. Il transfert erotico, in particolare, se riconosciuto e restituito per ciò che significa archetipicamente – “l’unione di forma e materia”, ovvero la forma psichica della materia che si rivivifica - offre al paziente un’esperienza di coniunctio oppositorum che rimanda alla creazione del Sé, lungo il processo d’individuazione:

 

“[…] Jung considera l’opus alchemico metafora del processo d’individuazione, di quel dinamismo vitale che è presente in ogni essere umano e che tende al suo più completo e compiuto sviluppo psicofisico. Da questa prospettiva, la metafora alchemica ha rappresentato per Jung “un servizio inestimabile”, perché lo ha aiutato a comprendere e a descrivere in primis il suo stesso processo d’individuazione, offrendogli la possibilità di illustrarlo nei suoi aspetti essenziali.[1]  Nel corso dell’esistenza, il processo d’individuazione e le relative esperienze di “compimento”  [la rubedo alchemica] possono prendere forme diverse: intrapsichiche, interpersonali, culturali, sociali o globali […] Nella stanza d’analisi il processo d’individuazione si manifesta inoltre, in modo del tutto caratteristico, attraverso le dinamiche di transfert, ovvero la proiezione da parte del paziente di contenuti inconsci sull’analista: 

 

Dall’analisi pratica è risultato che i contenuti inconsci appaiono sempre ‘proiettati’ a tutta prima su persone e situazioni oggettive. Molte proiezioni vengono definitivamente integrate all’individuo attraverso il riconoscimento della loro appartenenza oggettiva; altre invece non si lasciano integrare e, distaccandosi dai loro oggetti originari, si trasferiscono poi sul terapeuta.[2]

 

Nel caso del cosiddetto “transfert erotico” in particolare, ovvero quando il paziente o la paziente si innamorano dell’analista, si tratta di movimenti psichici che mettono in scena, sotto forma dell’attrazione del maschile e del femminile proiettati sulla coppia analitica, la tensione individuativa verso l’unione degli opposti e la conseguente generatività simbolica (il filius alchemico). Clinicamente l’attivarsi di un transfert erotico o sessuale rappresenta uno snodo psichico di grande potenzialità trasformativa, che richiede di essere compreso simbolicamente e mai agìto nella realtà, pena il collasso dello spazio analitico e della stessa possibilità di trasformazione psichica e di “compimento” da parte del paziente. L’immagine alchemica che rappresenta questo desiderio di “compimento” è la coniunctio (unione): “un’immagine […] che occupa da sempre una posizione eminente nell’evoluzione spirituale dell’uomo”[3], simbolo per eccellenza dell’unione di sostanze dissimili, la cui tensione contiene in sé la spinta trasformativa verso l’integrazione psichica e il relativo “compimento”. In analisi è fondamentale riconoscere la valenza simbolica degli innamoramenti transferali, de-letteralizzandoli: una loro eventuale messa in atto non porta affatto all’esperienza della coniunctio quanto piuttosto alla perdita di questa possibilità interna. In analisi il sentimento d’amore è la forma psichica della materia che si rivivifica (rubedoe come tale deve essere compreso e integrato alla coscienza: esso rappresenta la possibilità di fare propria l’esperienza del “compimento”, realizzando il potenziale psicofisico di totalità, simbolizzato da quella proiezione transferale: 

 

L’immagine della coniunctio emerge sempre in un momento cruciale dell’evoluzione spirituale dell’uomo. […] L’inconscio attivato appare come un miscuglio di contrari scatenati, ed esige che si tenti di riconciliarli cosicché ne emerga, come gli alchimisti dicono, il grande rimedio universale, la medicina catholica. […] L’elaborazione della prima materia, del contenuto inconscio, esige infinita pazienza, perseveranza, equanimità, sapere e capacità da parte del terapeuta; ma dal paziente esige l’applicazione delle sue forze migliori[4] e una capacità di sofferenza che non risparmia neanche colui che lo cura.”[5]

 

Copyright 2020



[1] C.G. Jung, Jung parla. Interviste e incontri (a c. di R.F.C. Hull), Adelphi, Milano 1995, pp. 294-296.

[2] C.G. Jung (1946), “La psicologia dellla traslazione illustrata con l’ausilio di una serie di immagini alchemiche”, OC16, Pratica della psicoterapia, Boringhieri, Torino 1981, p. 182.

[3] Ivi, p. 181.

[4] Ivi.

[5] Cfr. M. Tibaldi, “L’opera al rosso. Il “compimento”. Stati di rubedo nell’esperienza analitica”, in S. Massa Ope, A. Rossi, M. Tibaldi (a cura di), Jung e la metafora viva dell’alchimiaImmagini della trasformazione psichica, Moretti e Vitali, Bergamo 2020, pp. 187-189.

sabato 14 novembre 2020

Marta Tibaldi, Bagnomaria

 Marta Tibaldi

Bagnomaria

Non tutti sanno che il procedimento per cuocere le vivande a “bagnomaria” prende il nome dall’antica pratica alchemica del “bagno di Maria”, un’operazione caratteristica dell’alchimia ellenistica, usata per secoli dagli aspiranti alchimisti per trasformare la prima materia nell’oro filosofico[1]. In ambito culinario il “bagnomaria” è una forma di cottura indiretta – il recipiente con il cibo è messo in un altro recipiente a sua volta immerso in un liquido scaldato dal fuoco - che, non esponendo i cibi al contatto diretto con la fiamma, permette di dosare il calore  in modo lento e accurato. 


 

Il termine “bagnomaria” deriva da “bagno in acqua” e da “Miriam”, il nome della sorella di Aronne e di Mosè, che ebbe fama di essere una grande alchimista; si potrebbe però trattare anche dell'alchimista “Maria la Giudea”, vissuta ad Alessandria d’Egitto tra il I e il III secolo dopo Cristo. La cottura a bagnomaria richiede attenzione, tempo e cura e in questo senso ripropone alcune modalità caratteristiche dell’opus alchemico, che realizzava il "compimento" (rubedo)[4], la creazione del Lapis, attraverso numerose distillazioni e calcinazioni  (solve et coagula). Nella cucina di oggi, come nel laboratorio alchemico del passato, la cottura a “bagnomaria” rimanda ai processi di trasformazione delle sostanze e al loro passaggio dal crudo al cotto. Claude Levi-Strauss in un suo famosissimo scritto sostiene che questa transizione rappresenta uno degli elementi fondativi delle culture umane e della civiltà[2] . All'origine del processo di trasformazione antropologico e alchemico il fuoco segna infatti il passaggio dell’umanità dallo stato di natura a quello di cultura e avvia il processo dell'opera, perché “Nello stesso momento in cui gli uomini cominciano a produrre il fuoco, il fuoco comincia a produrre gli uomini.”[3]


 

Ancora oggi il procedimento del “bagnomaria” contiene, seppure in modo inconsapevole per molti di noi, la memoria delle trasformazioni alchemiche dei metalli vili in oro, rimettendoci nel solco dell'alchimia pratica e delle sue trasmutazioni.  

Copyright 2020




[1] Cfr. J. Raff, Jung e l’immaginario alchemico, Edizioni Mediterranee, Roma 2008.

[2] C. Lévi-Strauss, Il crudo e il cotto, Il Saggiatore, Milano 2016

[3] M. Niola, “Cultura uguale cucina. La legge di Lévi-Strauss”, La Repubblica – 31 luglio 2016

[4] Cfr. M. Tibaldi, “La rubedo. Stati di compimento nell’esperienza analitica”, in S. Massa Ope, A. Rossi, M. Tibaldi (a c. di), Jung e la metafora viva dell’alchimia. Immagini della trasformazione psichica, Moretti e Vitali, Bergamo 2020. 


giovedì 12 novembre 2020

Marta Tibaldi, Sale q.b.

Marta Tibaldi


Sale q.b.

 


 "Sale q.b." è un’espressione che si usa nelle ricette di cucina per indicare la giusta quantità di sale da utilizzare nelle diverse preparazioni. 

 

"Amaro di sale" - dice una paziente in seduta - raccontando un sogno durante il quale ha salato troppo il cibo che stava cucinando, rendendolo immangiabile. 

 

"Sciapo, sciocco" è un modo per definire una pietanza, o una persona, che è “priva di succo” (exsuccus), ovvero insipida. 

 

Quando guardiamo queste espressioni di uso quotidiano attraverso la lente della metafora alchemica, scopriamo tre diversi modi di relazione tra l'Io e l'inconscio

Da questa prospettiva, che è tipica della psicologia analitica junghiana, l'elemento "sale" diventa l'immagine simbolica di psicodinamiche relazionaliche si collocano lungo un continuum: a un estremo troviamo l'esperienza psichica del  "troppo salato", ovvero, ad esempio, l'amarezza dei vissuti di tristezza o di risentimento; dall'altro, un'esistenza caratterizzata da poca energia psichica e da depressione, mentre nel mezzo la saggezza e la centratura psichica, sostenute da un Eros vitale. 

 

Da questa prospettiva la metafora alchemica del sale può essere utilizzata nel rapporto con noi stessi come indicatore del nostro benessere o malessere psichicoprendendo coscienza di quanta sapidità ci sia da aggiungere o da togliere nel momento in cui ci osserviamo: come è la nostra esistenza? troppo amara, poco saporita, ben equilibrata?

 


Insieme allo zolfo e al mercurio, in alchimia il sale è uno dei tre principi dell’opus e ha anch’esso caratteristiche relazionali: rappresenta la cenere che residua dal processo della calcinatio, dall’intenso riscaldamento dello zolfo, che separa l’acqua e tutti gli altri componenti volatili (mercurio) della prima materia. La calcinato produce la polvere secca del sale, che ha la caratteristica di contenere in sé, in forma trasformata, le energie delle sostanze bruciate. Rimanda simbolicamente all’immagine dell'araba Fenice, l'uccello mitico che muore e rinasce dalle proprie ceneri in forme sempre rinnovate. Il sale alchemico è per questo simbolo psichico di resilienza, ovvero della capacità vitale di rinascere da noi stessi, anche dopo il confronto con la morte.



Copyright 2020