mercoledì 23 dicembre 2020

Marta Tibaldi, Tutti i colori del bianco. Cauda pavonis e albedo


Marta Tibaldi

Tutti i colori del bianco. 

Cauda Pavonis e albedo


Nell'immaginario alchemico l'immagine della cauda pavonis (coda del pavone) unisce in sé tutti i colori dell’arcobaleno e per questo dà forma simbolica a un’esperienza di totalità. Nel processo alchemico i molti colori della coda del pavone indicano il passaggio dalla fase della prima materia oscura e del caos degli elementi – in termini psichici i vissuti di depressione e di mancanza di orizzonte che ci fanno vedere tutto “nero” - a quella del bianco, l’albedo, il colore che rappresenta l’uscita dall’oscurità psichica, la presa di coscienza della dimensione ‘colorata’ e inconscia della mente.  Nel processo alchemico l’albedo è la prima meta del processo di trasmutazione delle sostanze e simbolicamente si muove in parallelo con il passaggio dall’inconscietà alla consapevolezza nel processo d’individuazione. L’esperienza alchemica e individuativa trasmutano quindi nella rubedo, lo stato “solare” (rosso), nel quale lo “spirito di vita” riscalda la prima materia, ormai illuminata dalla consapevolezza cosciente, infondendole nuova vita:

 

“La nerezza, la nigredo è lo stato iniziale [del processo alchemico]: [esso è] o preesistente come qualità della prima materia, del caos o della massa confusa, oppure provocato dalla decomposizione (solutio, separatio, divisio, putrefactio) degli elementi. Se, come talvolta accadeva, si partiva dallo stato di decomposizione, poi si procedeva a un’unione degli opposti sul modello dell’unione di maschile e femminile (il cosiddetto coniugium, matrimonium, coniuntio, coitus) seguito dalla morte del prodotto dell’unione (mortificatio, calcinatio, putrefactio) e corrispondente innerimento. Dalla nigredo si poteva passare mediante lavaggio (ablutio, baptisma) o direttamente all’imbianchimento, oppure l’anima fuggita dal corpo al momento della morte era unita nuovamente al corpo morto per vivificarlo, oppure ancora i molti colori (omnes colores, cauda pavonis) servivano di passaggio a un colore unico, il bianco, contenente tutti i colori. Con ciò era raggiunta la prima meta principale del processo, ossia l’albedo, tinctura alba, terra alba foliata, lapis albus ecc., meta che certi autori decantavano in modo tale quasi si trattasse della meta definitiva. Era lo stato argenteo o lunare, che però doveva essere ancora innalzato allo stato solare. L’albedo è, in certo qual modo, l’alba; ma soltanto la rubedo è il sorgere del sole. Il passaggio alla rubedo è costituito dall’ingiallimento (citrinitas), il quale […] venne più avanti soppresso[1]. Aumentando l’intensità del fuoco fino al suo grado massimo, la rubedo sorge direttamente dall’albedo. Il bianco e il rosso denotano la Regina e il Re, che anche in questa fase possono celebrare le loro nuptieae chymicae(C.G. Jung, Psicologia e alchimia, OC12, Boringhieri, Torino 1992, pp. 229-230).



[1] Nel quindicesimo-sedicesimo secolo i quattro colori del processo alchemico - melanosi (innerimento), leucosi (imbiancamento), xanthosi (ingiallimento) e iosi (irrossimento), sono ridotti a tre. La la xanthosi, detta anche cinitritas cadde infatti in disuso. In alcuni testi si fa riferimento a volte anche alla viriditas, il colore verde, ma nel corso del tempo le fasi del processo alchemico si assestarono definitivamente intorno ai tre colori del nero, del bianco e del rosso.


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