Marta Tibaldi
Negazione e paura
Assistiamo, ormai da alcuni mesi, al fenomeno del cosiddetto "negazionismo" del Covid-19. Sebbene il termine indichi, in senso proprio, il fenomeno storico dei revisionisti che negano l'esistenza dell'Olocausto, esso oggi è utilizzato, in modo un pò approssimativo, per indicare anche coloro che negano l'esistenza della pandemia da Covid-19 e si comportano di conseguenza.
La negazione e, in modo ancora più severo, il diniego, sono meccanismi di difesa ben noti agli psicologi del profondo. Si tratta di modalità psichiche che, non tenendo conto dei dati di fatto, tendono a scotomizzare, ovvero a eliminare inconsciamente dalla percezione cosciente, ansie e angosce troppo disturbanti per la coscienza.
Non c'è dubbio che l'esperienza della pandemia abbia messo ognuno di noi, e il mondo intero, di fronte al rischio concreto di ammalarsi gravemente e di morire, oltretutto in condizioni di isolamento e di solitudine: eventualità traumatiche che hanno sconvolto le aspettative coscienti, fino ad allora date per scontate. Sappiamo d'altronde che la via della negazione è destinata al fallimento: il wishful thinking piega la realtà dei fatti entro un piccolissimo margine e per tempi brevi, a meno che non si scelga la via del delirio.
Che fare? Trasformare la negazione in presa di coscienza, creando spazi di riflessione, individuali o collettivi, che accolgano le paure e ne colgano il significato protettivo e prospettico. Iniziamo da noi stessi, interrogandoci su dove e come ci poniamo rispetto alla pandemia, non soltanto in termini consci ma anche inconsci, ascoltando il nostro corpo, che non mente, e leggendo i nostri sogni, che ci offrono un'altra prospettiva. Pratichiamo il dialogo con le "moltitudini" che ci abitano, imparando a confrontarci con gli altri e con il mondo, lungo la via della collaborazione, piuttosto che della negazione.
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