Marta Tibaldi
Sogni e parole d'amore
Al pari dei trovatori del Medioevo, che usavano la parola poetica per narrare l'amore e i sogni, le esperienze psichiche trovano espressione nella parola immaginale. Essa tiene insieme pensiero, emozione e realtà fisica e colloca l'essere umano al centro di se stesso e della totalità psichica di cui fa indissolubilmente parte.
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Martedì 26 novembre 2019 L'enigma d'amore nell'Occidente medievale (La Lepre, Roma 2017) di Annarosa Mattei e Il dizionario dei sogni nel Medioevo (Olschki, Firenze 2018) di Valerio Cappozzo, sono stati l'occasione per riflettere, da parte mia, sull'esperienza onirica e quella amorosa nella stanza d'analisi.
Mattei e Cappozzo scrivono: "L'amore generato dalla bellezza della donna non è riducibile a pura e semplice esperienza dei sensi, ma, per chi sa intenderlo, è occasione illuminante, via di accesso alla conoscenza i sé, fino a diventare momento sublime di rivelazione del divino" (Mattei, cit., p. 34) e "I sogni [...] sono considerati nell'Antichità, nel Medioevo e nel Rinascimento, il momento eletto in cui il divino si rivela all'uomo attraverso messaggi simbolici che devono essere interpretati con l'aggiunta, in epoca cristiana, della valutazione morale del loro significato" (Cappozzo, cit., p. 1). Amore e sogni sono quindi la via privilegiata per accedere alla conoscenza di sé e della dimensione 'divina' presente nell'essere umano: in termini psichici esperienze di soglia, che mettono in comunicazione domini psichici personali e impersonali.
Fin dalla più tenera età, Carl Gustav Jung fu consapevole che al suo interno vivevano due aspetti psichici opposti, che chiamò la personalità n. 1 e n. 2: "Una era il figlio dei miei genitori, che frequentava la scuola ed era meno intelligente, attento, volonteroso, decente e pulito di molti altri ragazzi; l'altra era adulta - in realtà già vecchia - scettica, sospettosa, lontana dal mondo umano ma vicina alla natura, alla terra, al sole e alla luna, ai sogni, a tutto ciò che 'Dio' produceva in lei direttamente. [...] Il gioco delle parti tra la personalità n. 1 e n. 2, che si è protratto per tutta la mia vita e non ha nulla a che vedere con una 'frattura' o una dissociazione, nell'abituale accezione medica. Al contrario, si verifica in ogni individuo. Nella mia vita il numero 2 ha avuto una parte di primo piano, e ho sempre cercato di fare posto a tutto ciò che mi fosse imposto dall'intimo. Esso è una figura tipica, che però solo pochissimi percepiscono; in molti l'intelletto cosciente non ha la capacità di intendere che è anche ciò che essi sono" (C.G. Jung, Ricordi, sogni e riflessioni, BUR, Milano, pp. 73-74).
(foto: Sabrina Civetti)
L'esperienza onirica e quella d'amore appartengano alla realtà n. 2 e rappresentano, per chi le sappia accogliere, la soglia che mette in contatto realtà psichiche apparentemente contraddittorie. La stanza d'analisi è il luogo dove si osserva, si ascolta, si conosce la realtà n. 2, facendola interagire con la n. 1: un luogo dove è possibile vivere e dare parole alle vicissitudini dell'io e del Sé, tra meccanismi di difesa e inflazione psichica.
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