lunedì 5 maggio 2014

La mente inconscia, i vestiti nuovi dell'imperatore e l'intersoggettività


(foto zret.blogspot.com)

Marta Tibaldi
La mente inconscia, il vestiti nuovi dell’imperatore, l’intersoggettività

L’incontro con gli altri ha effetti consci e inconsci su di noi.  Ne possiamo diventare consapevoli osservando i messaggi che provengono dalla nostra mente e dal nostro corpo.


Leggo su un quotidiano la recensione a un libro su un famoso criminologo che negli anni Ottanta incrociò per motivi professionali camorristi e mafiosi e che fu brutalmente ucciso dalla stessa criminalità organizzata. Il libro mi riporta alla mente un ricordo personale, ancora vivo nella memoria: ho sei anni, sono con mio padre in una stanza che mi appare enorme e molto lunga; sul fondo c’è una finestra, davanti in controluce un uomo alla scrivania: è il famoso criminologo. Perché sono lì? Non lo so. Sono seduta davanti a lui. Mi guardo intorno ma qualcosa non va. Lo studio è grande e sontuoso, ma qualcosa mi disturba, che cosa?

I vestiti nuovi dell’imperatore è un racconto di Hans Christian Andersen che racconta la storia di un imperatore che ama avere bellissimi vestiti. Un giorno giungono nel suo regno due venditori che dicono di avere un tessuto meraviglioso, leggerissimo e sottile che è invisibile alle persone indegne e agli stolti. Nella corte nessuno riesce a vedere questo tessuto, neanche l'imperatore, ma temendo che ciò sia il segno della loro indegnità e stoltezza, tutti elogiano le qualità del tessuto che non c’è. L’imperatore ordina ai due venditori i suoi vestiti nuovi e una volta pronti sfila per la città nella compiacenza menzognera dei sudditi. Un bambino tra la folla guarda l’imperatore e grida: “Il re è nudo!”. L’imperatore rabbrividisce di fronte alla verità, ma va avanti. I ciambellani al suo seguito continuano a reggere lo strascico che non c’è. (H.C. Andersen, I vestiti nuovi dell'imperatore, Nuages, Milano 2009).

(foto noinonni.it)

Nel libro La nascita dell’intersoggettività Massimo Ammaniti e Vittorio Gallese studiano le interazioni umane che si sviluppano fin dai primi giorni di vita e descrivono il processo che conduce gli esseri umani a comprendere la mente degli altri (Cortina, Milano 2014). Gli autori sostengono che la capacità umana di riconoscersi prende forma fin dalla primissima infanzia attraverso le interazioni a cui il bambino è esposto e di cui il bambino acquisisce lo stile ("matrice intersoggettiva primaria"). Secondo gli autori la mente conscia e inconscia ha un’origine relazionale e si radica sull'esperienza dell'intercorporeità dell'Io, ovvero nell’esperienza dell’altro mappato come sé corporeo, un concetto in linea con le ricerche di Allan Schore sulle comunicazioni affettive tra i cervelli destri (A. Shore, La regolazione degli affetti e la riparazione del sé, Astrolabio 2008): "Quando ci esponiamo ai comportamenti espressivi, alle reazioni e alle inclinazioni degli altri, facciamo simultaneamente esperienza dei loro scopi o della loro intenzionalità, nello stesso modo in cui facciamo esperienza di noi stessi come agenti delle nostre azioni; soggetti dei nostri affetti, sentimenti ed emozioni; soggetti dei nostri pensieri, fantasie, immaginazioni e sogni" (Ammaniti-Gallese, cit., p. 17). La verità intersoggettiva si costruisce dunque sia sulla base delle informazioni a cui siamo esposti relazionalmente sia sulla capacità inconscia di discriminazione, basata sul funzionamento dei neuroni specchio: “La risonanza empatica con le emozioni percepite si attua inconsciamente e sembra attivarsi attraverso i corpi, così come attraverso le menti” (p. 194).

A distanza di moltissimi anni trovo oggi una spiegazione alla dissonanza cognitiva di quella bambina di sei anni che segnalava la verità intersoggettiva di quello strano incontro e la sua verità inconscia.





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