venerdì 31 gennaio 2014

Il "matrimonio ambulante" e il pensiero transculturale



Marta Tibaldi
l “matrimonio ambulante” e il pensiero transculturale
Ricardo Coler, medico, scrittore e fotografo argentino, nel 2013 ha pubblicato un reportage sui Mosuo, una popolazione asiatica che vive sulle sponde del Lago Lugu nella provincia cinese dello Yunnan.
I Mosuo sono una delle ultime culture matriarcali al mondo e Coler si è spinto fino in Cina per osservare e documentare la vita e le caratteristiche di una comunità che segue regole completamente diverse da quelle occidentali e patriarcali.

Leggendo Il regno delle donne – questo il titolo del suo reportage – mi ha colpito il nome con cui le donne Mosuo definiscono il matrimonio: axia, ovvero “matrimonio ambulante”.


Il “matrimonio ambulante” somiglia ben poco al matrimonio occidentale: “Ognuno vive a casa propria, e di notte l’uomo va a trovare nella sua camera la donna con cui ha fissato un appuntamento. La parola xia significa “amanti”, e il prefisso a sta a indicare intimità” (p. 29). Questo tipo di relazioni tra donne e uomini Mosuo non comporta alcun vincolo: “La visita dura quanto la notte e non implica che ci si debba vedere di nuovo. […] Sia gli abitanti di altri villaggi, sia i forestieri possono avere un axia con le donne Mosuo, che però non esitano a lasciare fuori dalla porta chi si mostri poco gentile o si esprima in termini scurrili.” (pp. 29-30).
Nelle famiglie Mosuo, che ruotano esclusivamente intorno alle madri e alle nonne, non esiste “l’idea dell’uomo o della donna ideali, la fantasia che tra i rappresentanti dell’altro sesso ci sia qualcuno che è la nostra esatta metà, e che ci voglia un po’ di buona volontà per incontrarlo”. Questa è una caratteristica della cultura occidentale e, aggiunge Coer, “un’incomparabile materia prima per la fabbrica dell’insoddisfazione. […] Le Mosuo professano la saggezza di quel che non c’è, di ciò che non si può avere, una saggezza che le preserva da quelle illusioni che, restando disattese, le lascerebbero deluse, con il rischio di trasformare in costanti passeggere del treno della lagnanza. E’ come se non sperassero di trovare, in un uomo, niente di diverso da ciò che trovano” (pp. 174-175).


Leggendo il libro di Coer non ho potuto fare a meno di pensare alla differenza che intercorre tra il “matrimonio ambulante” delle donne Mosuo e, ad esempio, quello cattolico, con le sue caratteristiche di fedeltà e di indissolubilità. Ho pensato anche al matrimonio descritto dallo psicoanalista junghiano Adolf Guggenbuhl-Craig in Matrimonio. Vivi o morti, Moretti & Vitali, Bergamo 2000.
Percorrendo una strada opposta a quella che considera il matrimonio meta della felicità, Guggenbuhl-Craig  sostiene che “Il matrimonio [è] un itinerario di sviluppo e di trasformazione dell’intera personalità, anche perché obbliga uomo e donna al confronto con gli aspetti più oscuri, sgradevoli e difficili dell’incontro e dell’amore, e con i molteplici aspetti “normali” e “anormali” della sessualità”.

Secondo quest’autore il matrimonio può essere guardato dal punto di vista del processo d’individuazione, ovvero della possibilità di sviluppare l’intera personalità. In questo senso per chi voglia e sappia addentrarsi nell’oscurità dei suoi tormenti e delle sue contraddizioni, il "matrimonio individuativo" è un percorso che può celare inattese potenzialità trasformative, avviando verso la conquista di un senso più profondo di sé e dell’esistenza.
Il “matrimonio ambulante” delle donne Mosuo, il matrimonio cattolico, il matrimonio individuativo: tre realtà antropologiche e culturali diversissime tra loro che, come è facile comprendere, stimolano alla complessità, dando origine a quel bene prezioso che è il pensiero transculturale.
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(Ringrazio Elisabetta Ambrosi per avermi segnalato il libro di Ricardo Coler, Il regno delle donne, Nottetempo, Roma 2013).

Marta Tibaldi, Profilo professionale e pubblicazioni

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