Marta Tibaldi
“La morte 'amica' e la rinascita”[1]
Non tutte le esperienze di morte sono uguali. Bene lo sottolinea la metafora alchemica, che descrive “le due facce della morte: quella che guarda indietro, verso ciò che sperimentiamo come irrimediabilmente perso e che rimanda all’esperienza del lutto [nigredo], e quella che guarda avanti e prepara la rinascita [rubedo].” Il tempo di Pasqua celebra questo secondo aspetto, enfatizzando l’esperienza della rinascita (resurrezione):
Sulla falsariga di queste considerazioni, riporto parte di ciò che ho scritto nelle Conclusioni del libro Jung a la metafora viva dell’alchimia. Immagini della trasformazione psichica (a c. di A. Rossi, S. Massa Ope, M. Tibaldi), Moretti & Vitali 2020:
“[...] Mentre mi accingo a scrivere queste righe, un amico sta riflettendo […] su ciò che finisce e ciò che dura. Entrambi ci stiamo interrogando su ciò che è “transeunte ed eterno”, come scrive Jung, e sui diversi modi in cui la coscienza è chiamata a questo confronto: la morte che guarda indietro, che porta vissuti dolorosi di perdita e di separazione e chiede di “lasciare andare” ciò che non ha più ragione di essere, e la morte “amica”, che guarda avanti e prepara eterni orizzonti di rinascita e si esprime attraverso le parole, l’arte e la musica. Pochi giorni dopo, l’amico mi racconta questo sogno:
Ho 90 annni, mi preparo a morire. L’ho aspettata tutta la vita ed ecco, finalmente, la ‘famosa morte’. Mio padre mi sostiene. Parlo nel sogno […] [di] un tempo eterno, incorruttibile, dell’infanzia, sottratto al divenire. E’ come sbocciata una mia bellezza fino ad allora solo latente. Per la prima volta accetto il mio corpo, la mia immagine fisica, senza riserve! La approvo incondizionatamente. Anche se, ahimé, solo un istante prima di morire.”
Il sognatore non ha 90 anni, l’azione del sogno non si colloca dunque nel presente, ma in un futuro lontano, che deve ancora accadere. Quando racconta il sogno, l’amico non coglie questo sfasamento temporale: il suo Io è identificato con l’idea di trovarsi “solo un istante prima di morire” e per questo è triste e angosciato. Scambiamo alcune considerazioni e, a differenza del sognatore, ciò che della sua narrazione mi colpisce non è l’esperienza della fine e della perdita, quanto la vitalità del Sé e lo stupore di vivere sub specie aeternitatis: la morte diventa ‘amica’ e ci colloca nell’eterno assoluto del momento presente. […] [E’] l’incontro con un’esperienza di morte non soltanto luttuosa – che porta vissuti di dolore e perdite irreparabili – bensì una morte che è promessa di rinascita, la morte ‘amica’ che fa dire con meraviglia. “tu sei qui […] esiste la vita […] tu sei vivo.” La morte ‘amica’ è colei che prepara alchemicamente l’esperienza della rubedo, del ‘compimento’ e della rinascita; colei che apre alla speranza, anche quando l’orizzonte individuale e collettivo è difficile e oscuro […] La morte ‘amica’ parla con la voce del Sé e invita ognuno di noi a testimoniare attivamente “il potente spettacolo” della vita.” (Jung e la metafora viva dell’alchimia, cit., pp. 256-258)
Copyright 2021[1] Jung a la metafora viva dell’alchimia. Immagini della trasformazione psichica (a c. di A. Rossi, S. Massa Ope, M. Tibaldi), Moretti & Vitali 2020, pp. 256-258.