|
Dott. Marta Tibaldi - Psicologa – Psicoterapeuta – Psicologa analista junghiana (AIPA-IAAP) - Didatta dell’Associazione Italiana di Psicologia Analitica (AIPA) e dell’International Association for Analytical Psychology (IAAP)
venerdì 29 maggio 2015
Marta Tibaldi, Le donne e il femminile in Cina: una realtà complessa
lunedì 25 maggio 2015
Incompetenza sociale
Incompetenza sociale
Questi sono tre esempi di uno stile interpersonale socialmente incompetente in cui ci si imbatte piuttosto di frequente. Di ritorno dall'Asia dell'Est la differenza tra questo nostro modo di comportarci e il loro è piuttosto evidente.
1. Un allievo in training mi dice: "Ora che ho messo a fuoco i miei problemi, mi voglio occupare del benessere della comunità" (si tratta di un medico che lavora in un ospedale). 2. Nella metropolitana di Taipei, un cartello invita a un comportamento socialmente attento - abbassare la suoneria del cellulare, mandare un sms invece di telefonare - e conclude l'invito con queste parole: "Un buon cittadino rende piacevole l'esperienza della metropolitana di Taipei."3. Piove: nei luoghi pubblici di Hong Kong ci sono cartelli che invitano a fare attenzione a non scivolare. Oggi che piove in modo particolarmente intenso un annuncio invita a stare ancora più attenti perché il pavimento è più scivoloso del solito.
Nella nostra cultura collettiva essere prepotenti, "furbi" e aggressivi è considerato da molti un valore positivo e un comportamento desiderabile. Nella considerazione sociale dell' Asia dell'Est l'armonia, la gentilezza, l'educazione e la cultura si collocano al primo posto. Senza volere idealizzare una realtà tanto diversa e lontana dalla nostra, che a sua volta ha i suoi lati d'ombra, noto la differenza che intercorre tra comportamenti sociali competenti e incompetenti e gli effetti che producono in termini di benessere - o malessere - individuale, culturale e collettivo.
Siamo davvero sicuri che l'incompetenza sociale alla lunga e alla prova dei fatti sia così vantaggiosa? Non sarebbe opportuno prendere coscienza di quanto in realtà essa sia inesorabilmente distruttiva e autodistruttiva?
1. Sto facendo il biglietto alla biglietteria di un museo. Sono in piedi davanti alla cassa e sto pagando. Una signora si protende sopra di me per chiedere un biglietto a sua volta. Guardo la signora con fare interrogativo e lei mi dice: "Non l'avevo vista". 2. Sono davanti all'accettazione di uno studio medico. Sto parlando con la segretaria. Una persona mi si mette a fianco e chiede informazioni senza aspettare che io finisca. La guardo, la signora si allontana imprecando contro di me. 3. Sono su una spiaggia libera con altre persone. Un signore con un Suv si posteggia in mezzo a noi. Facciamo notare che sarebbe opportuno mettere la macchina un po' più indietro. La persona risponde: "E che mi fai?"
Questi sono tre esempi di uno stile interpersonale socialmente incompetente in cui ci si imbatte piuttosto di frequente. Di ritorno dall'Asia dell'Est la differenza tra questo nostro modo di comportarci e il loro è piuttosto evidente.
1. Un allievo in training mi dice: "Ora che ho messo a fuoco i miei problemi, mi voglio occupare del benessere della comunità" (si tratta di un medico che lavora in un ospedale). 2. Nella metropolitana di Taipei, un cartello invita a un comportamento socialmente attento - abbassare la suoneria del cellulare, mandare un sms invece di telefonare - e conclude l'invito con queste parole: "Un buon cittadino rende piacevole l'esperienza della metropolitana di Taipei."3. Piove: nei luoghi pubblici di Hong Kong ci sono cartelli che invitano a fare attenzione a non scivolare. Oggi che piove in modo particolarmente intenso un annuncio invita a stare ancora più attenti perché il pavimento è più scivoloso del solito.
Siamo davvero sicuri che l'incompetenza sociale alla lunga e alla prova dei fatti sia così vantaggiosa? Non sarebbe opportuno prendere coscienza di quanto in realtà essa sia inesorabilmente distruttiva e autodistruttiva?
venerdì 1 maggio 2015
Feeling bad? Discipline and ethical stand
Marta Tibaldi
Feeling bad? Discipline and ethical stand
Joe Lansdale, the American author of over forty 'noir' novels and numerous short stories, ascribes most of his success and his life style to the practice of martial art since he was a child: "Everything in my life, also my writing, comes from the discipline of martial arts". According to him, the experiences of "resistance, determination, concentration, full self-awareness" along with his professional realization came from this practice. Martial arts helped him to overcame his fears, to increase his self-awareness and to improve his inner streght, making him feel competent towards his life and work (G. Andruetto, "Una vita sul tatami cercando la forza interiore", La Repubblica, April, 25, 2015). Then Joe Lansdale sees in the martial arts' discipline the base on which he builds his entire personal and professional life.
Working with some East Asian trainees, I noticed that, generally speaking, their way to react to the small and great challenges of life is somehow different from that of some of their Italian colleagues: a strong discipline in respecting the training rules requested to achieve the goal they want to reach and a clear assuption of responsibility towards their choices. No time and space for self-pity, passivity and individual and social irresponsibility.
In the Jungian analytical psychology the issue of discipline and the ethical stand are two main points of reference. On the one hand, as long as the client and the analyst agree to share the rules of the analytical setting - although in the different positions as a trainer and a trainee - they work together at achieving the common goal of "making visible the invisible" (the unconscious mind) and integrating it into the personality. On the other hand, taking an ethical stand means for both of them to accept consciously to follow the individuation process' indication and the ethical obligation "to transform [that] knowledge in life. As Jung writes: "The images of the unconscious place a great responsibility upon a man. Failure to understand them, or a shirking of ethical responsibility, deprives him of his wohleness and imposes a painful fragmentariness on his life" (C.G. Jung, Memories, Dreams, Reflections. London: Fontana Press 1995, p. 218)
In a time of great uncertainty and destructivness as the one we are facing in the Western culture, becoming aware of the role these aspects play in our daily lifes can help us to proceed consciously and responsibly in the direction of a creative transformation of ourselves at the personal, the cultural and the archetypal level.
Working with some East Asian trainees, I noticed that, generally speaking, their way to react to the small and great challenges of life is somehow different from that of some of their Italian colleagues: a strong discipline in respecting the training rules requested to achieve the goal they want to reach and a clear assuption of responsibility towards their choices. No time and space for self-pity, passivity and individual and social irresponsibility.
In the Jungian analytical psychology the issue of discipline and the ethical stand are two main points of reference. On the one hand, as long as the client and the analyst agree to share the rules of the analytical setting - although in the different positions as a trainer and a trainee - they work together at achieving the common goal of "making visible the invisible" (the unconscious mind) and integrating it into the personality. On the other hand, taking an ethical stand means for both of them to accept consciously to follow the individuation process' indication and the ethical obligation "to transform [that] knowledge in life. As Jung writes: "The images of the unconscious place a great responsibility upon a man. Failure to understand them, or a shirking of ethical responsibility, deprives him of his wohleness and imposes a painful fragmentariness on his life" (C.G. Jung, Memories, Dreams, Reflections. London: Fontana Press 1995, p. 218)
In a time of great uncertainty and destructivness as the one we are facing in the Western culture, becoming aware of the role these aspects play in our daily lifes can help us to proceed consciously and responsibly in the direction of a creative transformation of ourselves at the personal, the cultural and the archetypal level.
(Photos: Marta Tibaldi)
Copyright 2015
Professional profile and publications
Iscriviti a:
Post (Atom)