lunedì 31 marzo 2014

A Transcultural Reading Group on the Chinese Fairy Tale "The Black General"


Marta Tibaldi
A Transcultural Reading Group on the Chinese Fairy Tale The Black General

The first trancultural reading group on the Chinese fairy tale The Black General, organized by the Hong Kong Institute of Analytical Psychology (HKIAP), has just been completed successfully: five encounters either in person or through a shared web platform and a final group enacting the archetypal characters of the story through the methodology of Personal-Impersonal Deep Writing (PIDW) (M. Tibaldi, Personal-Impersonal Deep Writing (PIDW), The Hong Kong Seminars).

The reading group was aimed at looking at the classical Chinese story The Black General in a transcultural perspecitve, using the Jungian model of the psyche as a common reference to approach and to understand it.
The group highlighted, among others, the dynamics between a negative and a positive male complex, a Chinese cultural issue such as the inferior position of woman and feminine in society, some family's shadow aspects etc. The double Western and Eastern viewpoint brought to a better understanding of what in the story was "cultural" and what "archetypal", differenciating them in a more conscious way.

The methodology of Personal-Impersonal Deep Writing (PIDW) let the participants enact some archetypal characters of the story deeply resonating in them, giving visibility to various core personal issues.

The group noticed also how the so called "Chinese Fairy Tales" are to be considered more properly "Fables", that is stories which purpose is above all educational.
As in the previous workshop Fairy Tales for Life: The Handless Maiden (M. Tibaldi, Fairy Tales for Life: The Handless Maiden, The Hong Kong Seminars), Personal-Impersonal Deep Writing (PIDW) revealed itself as a psychodynamic tool that facilitates the understanding and the confrontation with the Jungian model of the psyche and gives a direct experience of the conscious and unconsious interplay inside themselves.

Reading groups and Personal-Impersonal Deep Writing (PIDW) will be proposed regularly to HKIAP routers and members as a structured part of the Jungian IAAP training in Hong Kong.
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giovedì 27 marzo 2014

Il "Fiore d'oro" esiste e si trova a Hong Kong

(Foto di Marta Tibaldi)

Marta Tibaldi
Il "Fiore d'oro" esiste e si trova a Hong Kong


A nord est dell’isola di Hong Kong, tra Admiralty e Wan Chai, si erge imponente un complesso di 40.000 metri quadri, lo Hong Kong Exhibition and Convention Centre, familiarmente noto come “la vela” per la sua caratteristica forma tondeggiante.

Davanti al centro, proprio di fronte al mare, è collocata una scultura alta sei metri che raffigura un Fiore d’Oro, la Golden Bauhinia, una varietà di orchidea originaria dell'isola, la cui immagine è diventata l'emblema della bandiera nazionale di Hong Kong. La statua è stata regalata dal governo cinese all'ex-colonia britannica in occasione del passaggio di consegne avvenuto nel 1998 ed è considerata oggi una delle attrazioni turistiche della città.



Per gli analisti junghiani occidentali  il “Fiore d’Oro” è associato di solito a Il Segreto del fiore d’oro, il testo sapienziale cinese tradotto dal sinologo tedesco Richard Wilhelm  e commentato da Jung. L'incontro con questo libro rappresentò per Jung l'inizio della "terza fase" della propria elaborazione teorica. Dopo avere letto Il segreto del Fiore d'Oro Jung decise infatti di dedicarsi in modo sistematico allo studio comparato della psicologia del profondo, mettendo in luce i parallelismi storico-culturali tra il processo di individuazione, che aveva scoperto grazie al proprio personale confronto con l'inconscio (cfr. C.G. Jung, Sogni, ricordi e riflessioni di C.G. Jung (a cura di A. Jaffé), Rizzoli, Milano 1961; C.G. Jung, Il Libro Rosso, Boringhieri, Torino 2010) e i percorsi di consapevolezza, illustrati  nei testi alchemici medievali e in testi sapienziali come quello cinese. Per Jung divenne fondamentale descrivere il processo di individuazione sia dal punto di vista interno, come percorso personale di confronto con le immagini del profondo, sia da quello esterno, come percorso sapienziale culturalmente formalizzato.

Nella pratica occidentale contemporanea gli psicologi analisti tendono a privilegiare il rapporto del paziente con le immagini interne, ricorrendo in modo piuttosto marginale alla comparazione con i "complessi culturali" e le immagini provenienti da altre culture. (Apprezzabile in questo senso il contributo di Thomas Singer allo studio dei complessi culturali in Sud America e in Europa: T. Singer - S.L. Kimbles (ed. by), The Cultural Complex: Contemporary Jungian Perspective on Psyche and Society, Brunner-Routledge, New York, 2004; T. Singer-J. Rasche (ed. by), Europe was a Princess from Asia. Cultural Complexes in Old Continent, in pubblicazione).

La cultura e la lingua cinesi sono fondamentalmente costruite su immagini culturali di natura archetipica. Anche la vita materiale cinese è fondata su un continuo rimando alla dimensione archetipica, seppure in modo non sempre consapevole (cfr.M. Tibaldi, Superstizione o pensiero correlativo? http://martatibaldi.blogspot.com).
Vivere in Cina significa essere costantemente esposti ad immagini archetipiche materializzate. Per fare un esempio, a nord di Hong Kong vi è il Monastero dei diecimila Buddha: un ripido percorso in salita lungo il quale il visitatore incontra, passo dopo passo, ben 12.800 diverse immagini d'oro e ad altezza naturale del Buddha: Buddha maschi e Buddha femmine e Buddha che danno forma ai più vari aspetti del vivere quotidiano. Camminare lungo quel sentiero offre al visitatore occidentale l'opportunità di sperimentare in modo diretto e concreto la complessità delle immagini archetipiche, come potrebbe accadere in termini interni attraverso  un'immaginazione attiva (cfr. M. Tibaldi, Pratica dell'immaginazione attiva. Dialogare con l'inconscio e vivere meglio, La Lepre, Roma, 2011).

In Occidente la pratica analitica tende a focalizzare la dimensione psichica personale per poi dirigersi verso quella archetipica (dall'analisi "riduttiva" a quella "sintetico-costruttiva"). In  Cina è opportuno seguire il percorso inverso, iniziando dalla dimensione archetipica culturale per poi analizzare forme più individuali di rapporto con le immagini inconsce. Da questo punto di vista Oriente e Occidente incarnano due modalità
opposte ma complementari di dare forma e di realizzare il processo d'individuazione. L'analisi transculturale, valorizzando entrambe le modalità, si inserisce a pieno titolo nell'interesse di Jung per la psicologia comparata e ne accoglie l'eredità.
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(foto di Marta Tibaldi)

giovedì 20 marzo 2014

Non-senso e trauma assoluto

(Foto meteoweb.eu)

Marta Tibaldi
Non-senso e trauma assoluto

Un interessante capitolo dell’ultimo libro di Massimo Recalcati, Non è più come prima. Elogio del perdono nella vita amorosa (Raffaello Cortina, Milano 2014) è dedicato al tema del trauma e dell’abbandono. Recalcati sostiene che il trauma amoroso riattivi traumatismi più attivi, primari, riportando il soggetto alle sue ferite più lontane nel tempo: “Nell’interruzione traumatica della presenza dell’Altro, noi ricadiamo nella contingenza più pura, sprofondiamo nel reale senza senso della nuda vita, regrediamo al di qua dello specchio, nell’esperienza del corpo in frammenti, nell’assenza dell’immagine, nel vortice senza senso della vita. […] Non c’è trauma ogni volta che siamo ricacciati violentemente, senza mediazioni simboliche, nella nostra condizione primaria dell’assoluto abbandono, dell’inermità, dell’assenza della presenza? Non c’è trauma ongi volta che ritorniamo a fare esperienza della nostra vita come un grido perso nella notte?” (M. Recalcati, cit., p. 76).

Leggendo queste parole ho pensato ai traumi dei bambini piccolissimi che, esposti  precocemente all’esperienza del non-senso, acquisiscono in modo violento la conoscenza del mondo, in una fase del loro sviluppo psicofisico che ancora non permette loro di elaborare ciò che è accaduto.
Per quei bambini non sarebbe neanche corretto parlare di “esperienza del non-senso”, se per “esperienza” intendiamo la possibilità di rappresentarsi psichicamente il trauma. Nel caso dei bambini piccolissimi l’“esperienza del trauma” è infatti quella di “essere un tutt’uno con il trauma”,  i bambini sono essi stessi il trauma che stanno vivendo:  si trasformano nel  non-senso che li sta traumatizzando, diventano una cosa sola con ciò che è impensabile ma nello stesso tempo -  e questo è l’aspetto tragico del trauma precoce - ne “fanno esperienza” nella forma del collasso totale di ogni parametro psicofisico: il trauma è l’esperienza irrappresentabile del crollo assoluto.

Usando una terminologia junghiana si potrebbe dire che il loro Sé (la psiche inconscia) è ferito a morte mettendo a rischio la sopravvivenza psicofisica, mentre l’Io (psiche cosciente), fa esperienza di sé nella forma del crollo psicofisico (Io collassato). Potrei definire l’esperienza traumatica grave e precoce come un’esperienza “senza”. Come scrive Recalcati: “Il mondo è caduto fuori dalla scena del mondo”  (M. Recalcati, cit., p. 79). Il mondo diventa improvvisamente Altro  -  non l’Altro soccorrevole, ma l’Altro indifferente - e faticosissimo da vivere; l’Io traumatizzato, dal canto suo, “non ce la fa”.

L’analista junghiano Donald Kalsched si è occupato a fondo del mondo interiore del trauma (D. Kalsched, Il mondo interiore del trauma, Moretti & Vitali, Bergamo 2001). Nel descrivere ciò che accade alle persone traumatizzate, Kalsched focalizza quelli che egli definisce i meccanismi di “dissociazione salvavita”: “L’emozione intollerabile è distribuita sulle diverse parti della psiche/soma, che smettono di sapere l’una dell’altra, in modo che la personalità nella sua totalità non debba soffrire l’orrore indicibile del trauma. […] Questo consente alla vita di andare avanti, anche se a carissimo prezzo – la perdita della vivacità e della vitalità che da sempre si associano a un vivere ‘animato” (D. Kalsched, Il trauma e l'anima, Moretti & Vitali, Bergamo 2013, p. 30).
Kalsched punta l’attenzione sulla relazione che lega il trauma alla dimensione archetipica del “numinoso” nei suoi aspetti negativi e in quelli positivi e integrativi: “Le persone che vivono esperienze positive e integrative di questo genere, non le dimenticano mai; e in seguito a simili esperienze molti di loro raccontano di non avere più paura della morte. Potremmo dedurne che in quei momenti sia possibile vedere attraverso il velo che normalmente separa la realtà ordinaria da quella straordinaria; sono momenti che offrono all’esperienza umana “barlumi” o “accenni” di una dimensione trascendente o ineffabile” (D. Kalsched, cit., p. 52).

La risposta di Recalcati all’esperienza del collasso di se stessi e del mondo si colloca, come egli stesso afferma, nella teorizzazione lacaniana che “non esista possibilità di vita umana senza la presenza dell’Altro” (p. 37) Come il bambino piccolo che nasce gridando, anche l’adulto tradito nasce attraverso un grido, che è la manifestazione dell’abbandono assoluto nel quale la nostra vita è stata gettata: “E’ attraverso il grido che la vita si rivolge all’Altro per trovare un sostegno senza il quale essa si perderebbe” (M. Recalcati, cit., p. 38). Ed è solo la risposta dell’Altro a rendere possibile la traduzione significante del grido in appello.” (ibidem).
Recalcati afferma dunque che  la presenza dell’Altro ci può salvare: “La vita esige la presenza dell’Altro, dell’Altro come soccorritore, affermava già Freud, del prossimo (Nebensmensch) che sa rispondere al grido in cui la vita si palesa, perché senza la risposta dell’Altro la vita muore, si disumanizza, brancola nel buio, resta pura vita animale. Nulla, infatti, come l’esperienza dell’abbandono mostra quanto la vita umana non consista di se stessa, ma sia integralmente sospesa alla risposta dell’Altro” (ivi, p. 39).

Ma che cosa accade quando l’Altro non riconosce quel grido o lo riconosce in modo inadeguato? Quando l’esposizione al non-senso e al trauma assoluto non è rispecchiata come il traumatizzato avrebbe bisogno che fosse? Quando l’altro non coglie il dramma inconscio iscritto nel Sé  e il collasso dell’Io o li coglie senza essere in grado di contenerlo o li coglie offrendo parole improprie (interpretazioni errate)?
Recalcati enfatizza il ruolo che la parola ha nel superare il non-senso alla quale ci consegna il trauma: “Dove c’è risposta, esposizione alla responsabilità della parola, la vita non è più nell'assoluto abbandono, non è più per caso, ma è voluta, desiderata, attesa.” (ivi, p. 41) Kasched, dal canto suo, sostiene che “l’analista deve diventare un partner a pieno titolo nella “regolazione diadica” dell’affetto e nella “cocreazione” di una realtà intersoggettiva completamente nuova” (D. Kalsched, cit., p. 34). Ma il dono attivo della presenza, dell’ascolto, della parola di cui parla Recalcati e la “regolazione diadica” e la “cocreazione” di cui parla Kalsched richiedono all’analista di essersi  spinto personalmente nell’abisso del non-senso, pena l’impossibilità di seguire il paziente traumatizzato lungo la sua esperienza del trauma assoluto.

Da questo punto di vista il lavoro del perdono cui Recalcati invita, implicando il confronto con il non-senso radicale,  avvicina colui che abbia compiuto questo percorso alla possibilità di trovare una “parola che salva” (cfr. E. Drewermann, Parola che salva, parola che guarisce, Queriniana, Brescia 1997), probabilmente anche per il trauma infantile gravissimo.  Il lavoro del perdono e le parole che ne scaturiscono sono l'antidoto curativo:  quando “nulla è come prima” la conquista della parola che guarisce porta noi stessi e gli altri oltre l’orrore di ciò che abbiamo vissuto.
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domenica 16 marzo 2014

Tai Chi Chuan, a cross-cultural practice of wohleness

(Photo by Marta Tibaldi)

Marta Tibaldi
Tai chi chuan, a cross-cultural practice of wholeness

Wake up early in the morning, go to Victoria Park and you will see rows of Chinese of the most various ages practicing Tai Chi Chuan in Hong Kong.

Derived from Taoism, Tai Chi Chuan is a martial art concerned with tranquility of mind and improvement of temperament. It is based on Taoist philosophy and on the principles of Yin and Yang: "First, Tai Chi in the philosophical sense explains everything in the Universe. It treats the universe as a unity – the Tao. The two forces – 兩儀Yin/Yang produce variations which give rise to  四象4 factors for the formation of universe. [...] Yin and Yang are in unity while in opposition.  In a suitable and harmonized condition, they will counteract and develop, but in an unstable and conflicting condition, they will repel one another and destroy all matter. This applies to our knowledge and functions of consciousness and unconsciousness.  Changes like season, life and death, night and day.  Since Yin and Yang reveals the relationship between Nature and Man, practicing from our physical body will eventual bring the connection to our state of being for a balanced life of stability and peace".  (Cheng Tin Hung, Tai Chi Transcendent Art, The Hong Kong Tai Chi Institute Limited)

I asked Mable Lam, past President of the Hong Kong Institute of Analytical Psychology (HKIAP, 2008-2011) who has been practicing Tai Chi for three years, to tell me about her experience. Three years ago I strongly encouraged her to take action, as I believed the tight connection of this physical exercise with the Jungian practice: “Tai Chi Chuan is a transcendent art in a tranquil state of mind, slow movement and natural breathing - says Mable Lamb - serving both physical movement and spiritual aspect, producing harmony of body and mind, concentrating on thoughts rather than strength.  A state of coming into a wholeness of being, a physical demonstration of how consciousness and unconsciousness function, develop and repel - throug the perspective of Yin-yang balancing.”


When Jung commented The Secret of the Golden Flower, the ancient Taoist book that Richard Wilhelm sent him in 1928, he noticed the great corrispondence between the practice of Tao and the individuation process: "East opens up a path to deeper and broader understanding than that of Western science: understanding through life. [...] This is the terrible experience of becoming aware that nature imposed on humanity, and that unifies in a common task even more distant cultures. This is the way our text treats, and this is the same path with my patients." 

This ancient Taoist practice has a long story and its roots in the Chinese collective unconscious: "While practicing the movements - adds Mable Lam - I can gradually feel the softness and light weight manner naturally with an Asian physical body, perhaps, in most of the case we have better advantage to cope with than those Westerner with a stronger body built characteristics. The initial stage of practice let me realize how much my thoughts and body do not co-ordinate - reacting too much or too less than responding appropriately enough.  I can realize too many thoughts were engaged that make concentration difficult to focus on the moment when hearing or watching the instructions from the master." 

In the Western world Tai Chi Chuan is known also as "meditation in movement" and its practice is widespread, although sometimes more as a form of gym than as a way toward wohleness. An interesting cross-cultural organization aimed at teaching Chi Chuan all over the world is the International Association of Tai Chi Taoista, operating in Italy and in nearly 30 other countries. 

A greater awareness of this age-old martial art and of its corrispondence with C.G. Jung's individuation process will improve this cross-cultural way to practice wohleness, making it a conscious experience of body-mind deep transformation.
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(Photo by Mable Lam)

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domenica 9 marzo 2014

Smettiamola di dire che "crisi" in cinese significa "opportunità"!

Wēijī

Marta Tibaldi
Smettiamola di dire che “crisi” in cinese significa  “opportunità”!

Quante volte ci siamo sentiti dire che ogni crisi rappresenta un’opportunità e che questo è il significato della parola “crisi” in cinese? Ebbene, non è così.
La leggenda metropolitana vuole che la parola cinese “crisi” sia composta dei due caratteri “pericolo” e “opportunità” e che in cinese questa parola inviti ad assumere un atteggiamento positivo nei confronti delle situazioni difficili, nella consapevolezza che ogni pericolo conterrebbe in sé la possibilità di un esito favorevole.

Sebbene la parola cinese “crisi” 危机(wēijī) sia composta effettivamente di due caratteri,  wēi () e机)essi non significano però “pericolo” e “opportunità”.  Victor H. Mair, che insegna Lingua e Letteratura cinese presso l'Università della Pennsylvania, a questo proposito scrive:  “Se è vero che  wēijī significa crisi e che la sillaba wei di weiji esprime il concetto di “pericolo”, la sillaba ji di weiji decisamente non significa ‘opportunità’. La ji di weiji significa infatti più qualcosa come ‘momento incipiente’, ‘punto cruciale’ (nel senso di qualcosa che inizia o che cambia). Dunque weiji rappresenta  una crisi, un momento pericoloso, un tempo nel quale le situazioni iniziano a modificarsi e in questo senso weiji indica una situazione di pericolo nella quale si dovrebbe essere particolarmente cauti e guardinghi. Sicuramente weiji non è un momento in cui si va alla ricerca di vantaggi e benefici”.

Anche l’etimologia della parola italiana crisi  rimanda a un analogo significato di ‘fase culminante’, ‘punto di svolta’. Il vocabolo deriva dal latino crisis e dal greco krìsis, “scelta, decisione, fase decisiva di una malattia” (der. di krino "distinguere, giudicare") (Vocabolario della lingua italiana Treccani).
In cinese e in italiano  le parole "crisi" indicano quindi il momento pericoloso di una situazione in cambiamento, il cui esito positivo non è affatto scontato e che richiede per questo motivo la massima attenzione e prudenza.

In termini psicologico-analitici si potrebbe dire che al culmine di un problema o di un disagio non è opportuno assumere un atteggiamento incautamente ottimista, che rischia di sottovalutare le difficoltà in atto, quanto piuttosto una posizione cauta e riflessiva, pronta a cogliere il vero andamento del processo in atto.
Sapere che la parola 'crisi' in cinese non significa necessariamente "opportunità" aiuta a non sottovalutare i rischi presenti nelle situazioni di pericolo, invitando a un atteggiamento responsabile e attento.

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sabato 8 marzo 2014

Marta Tibaldi will lead two groups on Active Imagination in Hong Kong on March 2014




(foto di Marta Tibaldi)

Marta Tibaldi 
Two groups on Active Imagination 

The workshop is for those who currently receive analysis.
Two closed groups will be organized by HKIAP.

Group A:  24th of March, Monday, 2 30 - 5 30 PM
                27th of March, Thurs.      10 AM - 1 PM

Group B:  25th of March, Tue.,         10 AM - 1 PM
                28th of March, Fri.,         2 30 - 5 30 PM

The maximum number of the participants for each group is 6

Marta Tibaldi will give two groups supervision in Hong Kong on March 2014


(foto di Marta Tibaldi)

Marta Tibaldi
Two groups supervision in Hong Kong


Supervision Group 1:  24th of March, Monday, 10 AM-1 PM

Supervision Group 2: 27th of March, Wednesday, 2,30 PM-5,30 PM


Maximum participants: 8 members




domenica 2 marzo 2014

Lang Lang, il "processo d'individuazione" e la "teoria della ghianda"

(foto classica1963fm.com)

Marta Tibaldi

Lang Lang,  il “processo d’individuazione” e la “teoria della ghianda”

Biglietti esauriti, sala gremita, decine di pullman di turisti stranieri portati all’Auditorium di Roma per ascoltare il concerto del pianista cinese Lang Lang.

Chi è questo giovane portento? Trentunenne, discendente di una nobile famiglia cinese la cui origine sembra risalire alla dinastia imperiale Qin, Lang Lang incontra la propria vocazione di pianista fin da piccolissimo, quando, guardando un cartone animato di Tom & Jerry, rimane affascinato dalla musica della Rapsodia ungherese n. 2 di Liszt. La vocazione si manifesta dunque improvvisa e precoce: “Tutti, presto o tardi, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada. Alcuni di noi questo “qualcosa” lo ricordano come un momento preciso dell’infanzia, quando un bisogno pressante e improvviso, una fascinazione, un curioso insieme di circostanze, ci ha colpiti con la forza di un’annunciazione: Ecco quello che devo fare, ecco quello che devo avere. Ecco chi sono” (J. Hillman, Il codice dell’anima, Adelphi, Milano, 1997, p. 17).

Il piccolo Lang Lang inizia a prendere lezioni di pianoforte e a cinque anni è già in grado di esibirsi in pubblico. Adolescente, si trasferisce a Pechino con il padre per studiare presso il conservatorio della città. Per il giovane inizia ora un periodo molto duro, sia per la separazione dalla madre e dalla famiglia, sia per l’incomprensione della propria insegnante, che lo considera privo di talento. La sua vocazione però lo spinge ancora nella direzione della musica: quando alcuni amici gli chiedono di suonare la Sonata K330 di Mozart, Lang Lang ritrova la speranza e ricomincia a suonare. Da questo momento iniziano anche i riconoscimenti ufficiali a Pechino, in Germania e in Giappone.

L’Occidente lo scopre nel 1999, quando Lang Lang sostituisce all’ultimo momento il pianista André Watts al "Galà del Secolo" del Ravinia Festival, suonando il Concerto per pianoforte n. 1 di Cajkovskij e ottenendo un successo strepitoso. Si esibisce quindi con le maggiori orchestre del mondo e diventa un fenomeno musicale e di comunicazione (cfr. Lang Lang, D.Ritz., La mia storia, Feltrinelli, Milano 2009).
Dal punto di vista della psicologia analitica Lang Lang può essere considerato un esempio vivente del “processo d’individuazione” di Carl Gustav Jung e  della “teoria della ghianda” di James Hillman. Di che cosa si tratta? Per Jung il processo d’individuazione è quel dinamismo psichico che tende alla piena realizzazione della personalità conscia e inconscia e che spinge l’individuo a diventare pienamente se stesso. Si tratta di un processo psichico che coinvolge sia lo sviluppo dell’Io (coscienza) che  del Sé (inconscio): da un lato l’Io è chiamato a differenziarsi dalle immagini inconsce, dall’altro ad integrarle nella personalità cosciente, prendendo una posizione attiva nei loro confronti e assumendosi la responsabilità di “trasformare la conoscenza in vita” (C.G. Jung). La teoria della ghianda di James Hillman s’ispira al processo d’individuazione ma si spinge anche oltre, sostenendo che “esiste un motivo per cui la mia persona, che è unica e irripetibile, è al mondo, e che esistono cose alle quali mi devo dedicare al di là del quotidiano e che al quotidiano conferiscono la sua ragion d’essere; la sensazione che il mondo, in qualche modo, vuole che io esista, la sensazione che ciascuno è responsabile di fronte a un’immagine innata, i cui contorni va riempendo nella propria biografia” (J. Hillman, Il codice dell’anima, cit., pp. 18-19).

Lang Lang, amato e odiato, ammirato e criticato, incarna la totalità psichica dell’Io e del Sé e la responsabilità soggettiva rispetto a se stessi e al mondo. Il suo modo di interpretare la musica rende visibile il rapporto tra queste polarità psichiche: tecnica perfetta, ispirazione palpabile, consapevolezza del proprio ruolo tra il pubblico e nel mondo. Per le magnifiche interpretazioni di cui è capace, per l’esperienza di totalità psichica che offre, per la responsabilità verso il mondo che mette in pratica – grazie alla sua musica e al suo impegno nelle scuole milioni di bambini cinesi stanno imparando a suonare il pianoforte - Lang Lang è l’esempio vivente del fatto che, come scrive Jung, “in ultima analisi, noi contiamo qualcosa solo in virtù dell’essenza che incarniamo, e se non la realizziamo, la vita è sprecata”.

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