sabato 30 novembre 2019

Sogni e parole d'amore

Marta Tibaldi
Sogni e parole d'amore
Martedì 26 novembre 2019 L'enigma d'amore nell'Occidente medievale (La Lepre, Roma 2017) di Annarosa Mattei  e Il dizionario dei sogni nel Medioevo (Olschki, Firenze 2018) di Valerio Cappozzo, sono stati l'occasione per riflettere, da parte mia, sull'esperienza onirica e quella amorosa nella stanza d'analisi.
Mattei e Cappozzo scrivono: "L'amore generato dalla bellezza della donna non è riducibile a pura e semplice esperienza dei sensi, ma, per chi sa intenderlo, è occasione illuminante, via di accesso alla conoscenza i sé, fino a diventare momento sublime di rivelazione del divino" (Mattei, cit., p. 34) e  "I sogni [...] sono considerati nell'Antichità, nel Medioevo e nel Rinascimento, il momento eletto in cui il divino si rivela all'uomo attraverso messaggi simbolici che devono essere interpretati con l'aggiunta, in epoca cristiana, della valutazione morale del loro significato" (Cappozzo, cit., p. 1). Amore e sogni sono quindi la via privilegiata per accedere alla conoscenza di sé e della dimensione 'divina' presente nell'essere umano: in termini psichici esperienze di soglia, che mettono in comunicazione domini psichici personali e impersonali.
Fin dalla più tenera età, Carl Gustav Jung fu consapevole che al suo interno vivevano due aspetti psichici opposti, che chiamò la personalità n. 1 e n. 2: "Una era il figlio dei miei genitori, che frequentava la scuola ed era meno intelligente, attento, volonteroso, decente e pulito di molti altri ragazzi; l'altra era adulta - in realtà già vecchia - scettica, sospettosa, lontana dal mondo umano ma vicina alla natura, alla terra, al sole e alla luna, ai sogni, a tutto ciò che 'Dio' produceva in lei direttamente. [...] Il gioco delle parti tra la personalità n. 1 e n. 2, che si è protratto per tutta la mia vita e non ha nulla a che vedere con una 'frattura' o una dissociazione, nell'abituale accezione medica. Al contrario, si verifica in ogni individuo. Nella mia vita il numero 2 ha avuto una parte di primo piano, e ho sempre cercato di fare posto a tutto ciò che mi fosse imposto dall'intimo. Esso è una figura tipica, che però solo pochissimi percepiscono; in molti l'intelletto cosciente non ha la capacità di intendere che è anche ciò che essi sono" (C.G. Jung, Ricordi, sogni e riflessioni, BUR, Milano, pp. 73-74).
(foto: Sabrina Civetti)
L'esperienza onirica e quella d'amore appartengano alla realtà n. 2 e rappresentano, per chi le sappia accogliere, la soglia che mette in contatto realtà psichiche apparentemente contraddittorie. La stanza d'analisi è il luogo dove si osserva, si ascolta, si conosce la realtà n. 2, facendola interagire con la n. 1: un luogo dove è possibile vivere e dare parole alle vicissitudini dell'io e del Sé, tra meccanismi di difesa e inflazione psichica.

Al pari dei trovatori del Medioevo, che usavano la parola poetica per narrare l'amore e i sogni,  le esperienze psichiche trovano espressione nella parola immaginale. Essa tiene insieme pensiero, emozione e realtà fisica e colloca l'essere umano al centro di se stesso e della totalità psichica di cui fa indissolubilmente parte.
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mercoledì 20 novembre 2019

Amore e sogno come percorsi di conoscenza di sé

Marta Tibaldi
Amore e sogno come percorsi di conoscenza di sé


Nel Medioevo amare e sognare rappresentavano, per chi ne sapesse fare esperienza consapevole, percorsi iniziatici e sapienziali che si completavano a vicenda. Che cosa possiamo dire oggi di queste medesime esperienze? amore e sogni sono ancora percorsi di conoscenza e di trasformazione di sé?

Martedì 26 novembre 2019 alle 20:00 presso la Chiesa di Santa Lucia del Gonfalone, L'enigma d'amore nell'occidente medievale di Annarosa Mattei e de Il Dizionario dei sogni nel Medioevo di Valerio Cappozzo saranno l'occasione per riflettere, da parte mia, su come oggi i pazienti vivono e raccontano nella stanza d'analisi l'esperienza d'amore e quella di sognare.

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domenica 17 novembre 2019

Competenza linguistica ed etica relazionale

Marta Tibaldi
Competenza linguistica ed etica relazionale
"Tutte le moderne terapie che affermano che l'azione cura meglio delle parole (Moreno) e che sono alla ricerca di tecniche diverse dalle parole (invece che di tecniche da aggiungere alle parole) reprimono la più umana di tutte le facoltà: raccontare le storie della nostra anima. Queste terapie sono forse efficaci sul bambino che è in noi, che non ha ancora imparato a parlare, o sull'animale, che non può farlo, o magari su uno spirito-daimon, al di là delle parole perché al di là dell'anima. Ma solo uno sforzo continuo di parlare un linguaggio d'anima accurato può curare il nostro linguaggio delle sue vuote chiacchiere e restituirlo alla sua funzione prima, la comunicazione dell'anima." (J. Hillman, Re-visione della psicologia, Adelphi, 1992, p. 364).

Mai come oggi l'invito di James Hillman a parlare un linguaggio d'anima che dia parole a noi stessi e al nostro rapporto con gli altri, che superi il vuoto chiacchiericcio collettivo o il silenzio comunicativo, è un dovere di etica relazionale, nella stanza d'analisi e nel mondo. Abbiamo bisogno di un linguaggio accurato che recuperi la nostra competenza linguistica e che rifondi, attraverso l'uso consapevole di parole condivise, la relazionalità umana. La talking cure esercita all'uso attento e generoso di parole d'anima che dicano a noi stessi e agli altri i nostri pensieri, le nostre emozioni e le verità dei nostri corpi.
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venerdì 15 novembre 2019

Dalla denuncia alla proposta

Marta Tibaldi
Dalla denuncia alla proposta
Una geremiade collettiva che si riverbera nelle lamentazioni dei singoli e viceversa; un disagio e un malessere emotivi che sembrano ormai contagiare tutti. La narrazione che gli esseri umani fanno di sé e delle faccende del mondo ci giunge con toni apocalittici. Virgil S. Martin, insegnante di Programmazione neurolinguistica, in Non ci sono problemi, solo soluzioni (Feltrinelli, 2019) individua nei pensieri disfunzionali l'incapacità di andare oltre ciò che ci rappresentiamo come un problema. Nel tempo attuale lo stato psichico individuale e quello collettivo sembrano catturati da questa modalità unilaterale, che oscura le risorse, i talenti, le prospettive di trasformazione in positivo degli individui e della collettività. 

Nel percorso analitico di conoscenza personale e del mondo questo passaggio avviene attraverso il confronto con l' 'ombra', ovvero con gli aspetti psichici oscuri e distruttivi che caratterizzano la natura umana e che non ci piace riconoscere anche come nostri; per questo tendiamo ad allontanarli da noi, proiettandoli sugli altri. Nella conoscenza di noi stessi e del mondo, il confronto con l'ombra è però un passaggio obbligato, seppure difficile e doloroso, perché - ricorda Jung - "rendere cosciente l'oscuro è scomodo e impopolare" (C.G. Jung, OC13, 291). 

Superare consapevolmente l'unilateralità e la disfunzionalità dello sguardo oscuro apre orizzonti inattesi, spostando il baricentro emotivo dalla denuncia alla proposta, dalla lamentazione all'azione positiva, dal problema alla soluzione.

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domenica 10 novembre 2019

Smiling Depression. La depressione gentile

Marta Tibaldi
Smiling Depression. 
La depressione gentile
Una forma atipica di depressione che si nasconde dietro una facciata apparentemente felice: la depressione gentile colpisce dal 15 al 40% popolazione ed è la manifestazione esterna di un disagio che non è riconosciuto neanche dalla persona che ne soffre . "Tutto bene" è la frase rassicurante ripetuta come un mantra dal depresso gentile, che in questo modo scotomizza i propri vissuti di infelicità e di disperazione. 

Jung indica con il termine latino Persona la maschera sociale che ognuno di noi indossa e che dà forma alla nostra immagine esterna. Il depresso gentile si maschera dietro a un sorriso ingannevole che svia se stesso e gli altri dalle emozioni sottostanti. Guardare in trasparenza questa forma di Persona, cogliendone le dinamiche profonde e dando loro parola,  è una delle modalità con cui l'analista junghiano accoglie il non detto e il non rappresentato del depresso gentile, verso la costruzione di un orizzonte prospettico di significato.

lunedì 4 novembre 2019

Sapere di non sapere. L'effetto Dunning-Kruger


Marta Tibaldi
Sapere di non sapere
L'effetto Dunning-Kruger
A proposito della consapevolezza di "sapere di non sapere," in Molti inconsci per un cervello Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà (2018) scrivono: "Nel 1999 David Dunning e Justin Kruger, psicologi alla Cornell University, mostrano sperimentalmente
come chi è scarso in prove linguistiche, logiche, o di altro tipo, tende a sovrastimare le sue capacità mentre questo non capita ai migliori." Si tratta del cosiddetto "effetto Dunning-Kruger" che dimostra come le conoscenze richieste per effettuare un compito con competenza spesso non corrispondano affatto alla consapevolezza di non possederle e quindi di non essere all'altezza del compito stesso. 

Nell'esperienza analitica del profondo il passaggio dal non sapere al sapere avviene attraverso il confronto, spesso difficile e doloroso, con la nostra 'ombra', ovvero con tutto ciò che non ci piace di noi e che ancora meno ci piace ammettere. L'epoca attuale segna il trionfo di questo meccanismo di negazione e lo rinforza collettivamente, nella inconsapevolezza degli effetti distruttivi che tale inganno cognitivo produce in chi lo mette in atto e negli altri. 
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sabato 2 novembre 2019

La sindrome da rassegnazione (RS) e la disperazione traumatica dei bambini rifugiati



Marta Tibaldi 
La Sindrome da Rassegnazione (RS) 
e la disperazione traumatica dei bambini rifugiati

Da qualche tempo i giornali riportano la notizia di un fenomeno osservato in Svezia nei figli di migranti in attesa di ottenere lo status di rifugiati, le cui domande sono respinte dopo alcuni anni di attesa. Nel momento in cui i bambini, ormai inseriti nella realtà svedese, vengono a sapere che i genitori saranno rimpatriati, la loro disperazione prende la forma psico-fisica di una totale non reattività, che è assimilabile al coma. Le autorità svedesi si stanno interrogando su quella che al momento hanno chiamato Sindrome da Rassegnazione (RS) e che sembra essere una forma di catatonia la cui psicogenesi è culturale.

In attesa di studi che chiariscano il fenomeno e la sua diffusione, la Sindrome da Rassegnazione (RS) interroga gli adulti, una volta di più, sugli effetti devastanti che le esperienze traumatiche gravi e reiterate hanno sui bambini e sulla disperazione incontenibile che generano in loro.


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