domenica 28 maggio 2017

Perché i Cinesi portano la mascherina chirurgica sul viso? Una domanda interculturale

Marta Tibaldi
Perché i Cinesi portano la mascherina chirurgica sul viso?
Una domanda interculturale



(foto Marta Tibaldi)

Con l'aumento del turismo orientale, capita sempre più spesso di incontrare nelle nostre città turisti cinesi che indossano una mascherina chirurgica sul viso. Per noi occidentali questo comportamento  è poco familiare e tendiamo ad attribuirgli significati che non sempre corrispondono al vero.

In Estremo Oriente diversi sono i motivi per cui di può indossare una mascherina sul viso: nelle grandi città, ad esempio, può essere  un modo per proteggersi dall'inquinamento, anche se in questo caso si tratta di mascherine specifiche. 

Se chiediamo a un occidentale perché i Cinesi portino la mascherina chirurgica sul viso, la risposta di solito è: "vogliono evitare che le altre persone li contagino". La loro spiegazione rimanda quindi  a un'interpretazione di tipo soggettivistico, ovvero: "metto la mascherina per proteggere la mia salute; lo faccio per salvaguardarmi".

Nella metropolitana di Taipei, Taiwan - un brillante esempio di efficienza tecnica ed educazione civica - durante il percorso si possono ascoltare annunci (in quattro lingue) in cui si invitano i passeggeri a "indossare una mascherina se si ha il raffreddore". La motivazione per mettere una mascherina non è dunque la protezione personale, quanto piuttosto l'attenzione alla collettività. La mascherina serve a proteggere gli altri dal nostro raffreddore o dalla nostra tosse, quindi un capovolgimento di prospettiva rispetto al modo di pensare occidentale.

Sebbene in Cina l'uso della mascherina abbia avuto un incremento a seguito dell'epidemia di SARS - un vero e proprio trauma collettivo, di cui si trova drammatica traccia nei racconti dei pazienti e nelle supervisioni cliniche - esso rappresenta una tra le molte attenzioni sociali che caratterizzano, in generale, le culture collettiviste, a differenza di quelle individualiste.

Una conoscente taiwanese mi illustrava la natura del sé collettivo che caratterizza la loro cultura di appartenenza, raccontandomi in che modo il  carattere cinese "albero" cambi di significato - da individuale a collettivo - nel caso sia scritto una, due o tre volte. Scritto da solo esso indica  "un albero". Scritto due volte il suo significato si trasforma in "bosco" e scritto tre volte diventa "foresta". 

Per un occidentale che viva in Estremo Oriente, la dimensione collettiva della cultura cinese rappresenta un'esperienza inconsueta e piacevole. A Taipei, Taiwan, una delle migliori città dove vivere nel mondo secondo la ricerca Mercer, questa esperienza è immediatamente percepibile, ad esempio, quando si prende la metropolitana. Esiste una vera e propria "cultura" sociale perché sia un ambiente sicuro e piacevole. La cosiddetta "etichetta della metropolitana di Taipei" richiede, tra l'altro, di "non bere, non mangiare, non masticare la gomma americana", di "fare la fila" , di "abbassare il tono della voce nelle carrozze quando si parla al telefono", di "non occupare i posti prioritari", lasciandoli a coloro che ne abbiano bisogno e via dicendo: norme che ad alcuni occidentali potrebbero sembrare esagerate, ma che in realtà rendono l'esperienza della metropolitana di Taipei davvero unica in termini di sicurezza e di confort.

Il confronto interculturale tra stile orientale e stile occidentale permette di guardare le culture di riferimento da prospettive diverse e rende visibili, a chi voglia vederli, gli elementi, positivi e negativi che le caratterizzano. In questo senso la pratica interculturale che  si basa sull'ascolto, il confronto, il dialogo, la negoziazione dei significati può rappresentare una forma attiva di risposta alla crisi culturale globale che caratterizza il tempo attuale. Come sappiamo, lo shock culturale può portare a una progressione ovvero a radicalizzazioni regressive.

Possiamo  assumere un atteggiamento attivo nei confronti di queste esperienze di discontinuità culturale, impegnandoci da un lato a confrontarci con le differenze e con prospettive nuove, e assumendoci, dall'altro, la responsabilità di una loro accettazione o una non accettazione, frutto di una valutazione critica attenta e complessa.





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