domenica 25 maggio 2014

Il diritto di dimenticare. A proposito di cancro e prevenzione

(foto alfemminile.it)

Marta Tibaldi
Il diritto di dimenticare. A proposito di cancro e prevenzione

Tre giorni di manifestazioni per sensibilizzare sul tema del tumore al seno e della sua prevenzione e per raccogliere fondi: il 16-17-18 maggio 2014 si è svolta a Roma la XV edizione della Race for the Cure, organizzata dalla Susan G. Komen Italia, prima affiliata europea della Susan G. Komen for the Cure di Dallas, un'organizzazione che è impegnata da trenta anni in questo campo. Tre giorni di salute, sport e benessere che si sono conclusi al Circo Massimo di Roma con la corsa e la passeggiata di solidarietà. Consueta la presenza delle Donne in Rosa, pazienti operate al seno che hanno indossato la maglietta e il cappello rosa per testimoniare in prima persona il loro percorso di malattia e di sopravvivenza.

Rifletto su questa grande mobilitazione collettiva e mi pongo alcune domande. Non c’è dubbio che la possibilità di incontrarsi, di parlare, di condividere, di testimoniare, siano elementi altamente positivi per chi è ammalato, per chi teme di ammalarsi, per chi vuole fare prevenzione attiva etc. e che tutto questo possa aiutare donne e uomini  - non si dimentichi che il tumore al seno colpisce anche gli uomini! - a non sentirsi soli e a non disperarsi. Non posso però fare a meno di notare come da alcuni anni sembra essere in atto, a livello collettivo, uno spostamento nel modo di trattare la malattia oncologica e le sue cure, che merita una riflessione.

Stiamo assistendo al passaggio da una modalità, che ha caratterizzato gli anni passati,  orientata più al negare e al tacere la malattia – si pensi, ad esempio, al fatto che la parola “cancro” non potesse neanche essere nominata -  a una, diametralmente opposta,  caratterizzata dal parlarne moltissimo, coinvolgendo in modo sempre più diretto e attivo le persone ammalate e non (M. Tibaldi, Oltre il cancro. Trasformare creativamente la malattia che temiamo di più, La Lepre, Roma 2011).


In psicoanalisi con il termine di “formazione reattiva” si indica un meccanismo di difesa che permette di tenere sotto controllo emozioni disturbanti come la paura, assumendo atteggiamenti  diametralmente opposti  a quelli immediatamente associati alla paura stessa. Nel caso del cancro, ad esempio, se negli anni passati il timore era esorcizzato soprattutto tacendo, oggi il parlarne sempre e comunque e l’essere continuamente coinvolti in attività che riguardano la malattia e la sua prevenzione generano il sospetto che possa essere in atto anche un meccanismo difensivo di questo genere.

Si pensi, solo per fare un esempio, all'aumento esponenziale dell’attenzione nei confronti di tutto ciò che riguarda l’alimentazione (T.C. Campbell-T.M. Campbell II, The China Study, Macro Edizioni, Cesena 2011).  Attenzione sicuramente importantissima e meritoria, ma che richiede comunque una vigilanza critica. 
Da alcuni anni è scoppiato in particolare il fenomeno della dieta preventiva  per proteggersi dalla malattia e dalle sue ricadute: cereali integrali, legumi, semi, verdura e frutta; un’alimentazione che oscilla tra il vegetariano, il vegano e il macrobiotico e che stravolge, almeno in prima battuta, le nostre abitudini alimentari. Da queste ricerche derivano anche le più disparate applicazioni pratiche, con un’offerta infinita di corsi, seminari, workshops, negozi di alimenti biologici (o pseudo tali), attrezzature di cucina etc. che rischiano di non essere sempre e soltanto ispirati al benessere del paziente.

A volte la prevenzione alimentare si può addirittura trasformare in ulteriore fattore di stress. A questo proposito voglio ricordare il progetto Diana 5 dell’ Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Obiettivo della ricerca è/era quello di “valutare se una sana alimentazione e un’adeguata attività fisica possano ridurre il rischio di recidive nel carcinoma mammario”. Purtroppo le malate di Roma che hanno partecipato e creduto nel progetto, si sono trovate coinvolte in una gestione discutibile del gruppo dell’Italia centrale, che ha portato al suo scioglimento, con indubbi effetti traumatici su di loro. Dopo avere cambiato radicalmente abitudini alimentari, le malate sono state abbandonate al loro destino, dovendo affrontare da sole anche alcuni problemi  fisici causati dalla nuova dieta.

I  malati e le malate di cancro hanno sicuramente bisogno di parlare e di condividere la loro malattia e le loro storie con altri malati, di essere informate e di partecipare a progetti  di prevenzione come quelli alimentari ma di certo hanno anche bisogno di vivere la propria vita dimenticando la malattia: una buona prevenzione oncologica passa anche per il loro non coinvolgimento in tutto ciò che si muove sotto il sole (e nell'ombra) dell’oncologia e delle sue cure. Una buona vita non è solo prevenzione al cancro, è molto altro e molto di più.

Viva dunque la Race for the Cure e la sua mobilitazione collettiva, ma viva anche chi sceglie consapevolmente di non partecipare.
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(foto tiburno.tv)

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